A classic education “Call it blazing”, recensione

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Un digipack in scala di grigi per una cover art che sembra riprendere l’arte del rotoscope, attraverso le pennellate sicure di un disco in uscita grazie alla sinergia artistica tra La Tempesta dischi e la Lefse Records. Le due label si trovano ad abbracciare un’opera registrata oltreoceano, ma scritta nella Bologna del nuovo millennio, ancora piuttosto vitale nel suo underground. Il disco appare innegabilmente influenzato non solo musicalmente ma anche iconograficamente dal mondo intrappolato nell’obiettivo di Danny Lyon e del suo The bikeriders. Infatti l’emotività estetica di Jonathan Clancy è stata subitaneamente catturata dagli scatti datati del libro, arrivando così a riunire un insieme di fattori artistici trasversali ed inusuali, proprio come la resa sonora delle tracce capaci di trasportare l’ascoltatore in un mondo vintage, fatto di note seventies e bobine analogiche.

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Questo debut album nella sua originale ed introversa revisione del passato, offre una serie di stimolanti avvii musicali, ben confezionati in piccole pillole, orfane purtroppo di un booklet che avrebbe potuto essere ma che non è.

Call it blazing riesce sin dal principio a raccontarci un polveroso trip on the road, che cita indirettamente i Velvet underground sino ad arrivare a sonorità Shines, attraversando distanze raccontate da sensazioni oniriche.

Ad aprire il lato A è la brevissima Work it out, traccia fiftheen dal sapore volutamente retrò, fedele ad una concettualità in itinere, preparatoria alla seguente Baby. It’s fine che, come in altre occasioni offre un punto di incontro tra metodologie Sons of anarchy e un’alternative di vecchio stampo; infatti la traccia si dipana su giochi sonori ben strutturati come in un’immaginifica OST, che rivolge il proprio sguardo filmico alla metà dei ’70.

Sgasando si arriva poi all’aria posata di Grave bird, drammaturgico episodio dalle note allungate e proto psichedeliche. Se poi il dolce sapore del deja ecù emerge da I lost time, è altrettanto palese che brani come Gone to sea sembrano voler citare il primo surf rock, rivisitato da un tocco alternativo, riuscendo a mescolare i primi Beach Boys alla dolcezza rarefatta dei Belle and Sebastian.

I passi dell’ascoltatore continuano in questo percorrere all’indietro al linea del tempo, arrivando al theremin di Spin me Around e dalle atmosfere di Billy’s gang Dream, intenta a richiamare un certo tipo di cultura sotto culturale che impregna tutto il full lenght.

Insomma un disco che alza la testa su di un mucchio selvaggio di note, riuscendo a convincere con la sua diversità.

Tracklist

1. Work It Out
2. Baby, It’s Fine
3. Grave Bird
4. Gone To Sea
5. Place A Bet On You
6. Billy’s Gang Dream
7. Spin Me Round
8. Forever Boy
9. Can You Feel The Backwash
10. Terrible Day
11. I Lost Time
12. Night Owl