AAvv -Phonometak VII, recensione

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Phonometak VII

Tra le nuove uscite Wallace troviamo l’ormai tradizionale capitolo Phonometak (e siamo al capitolo VII) che, come di consueto offre due lati di una medaglia rara e ricercata. Questa volta interpreti del giradischi giallo sono Massimo Pupillo in ensamble con Uchihashi Kazuhisa e Yoshigaki Yasuhiro, che dividono l’appartamento sonoro con il progetto On Fillmore, straordinario compendio musicale nato da Glenn Kotche, batterista degli alt-country Wilco.

LATO A

La traccia unica, di circa undici minuti, offre una luminosa autostrada alternativa, tra buche improvvise e naturistici paesaggi progressive, che ci narrano di un magico mondo ben gestito dalla sezione proto ritmica. Il sound appare, sin dalle prime battute, ciclico ma al contempo non disturbante, nonostante un’esigente tappeto di soffice noise, cadenzato nel suo incedere. Il suono che pervade l’ascoltatore trasporta l’incauto in un dormiveglia tra risvolti ipnagogici, similmente al momento in cui la realtà sfuma, lasciando il posto al primo mondo onirico.

Un brano che nella sua diluizione temporale acquisisce un regolare andamento, in cui il sogno di migliaia di orologi batte il tempo della realtà, malgrado un beat sempre ancorato al mondo morfeico.
Attraverso una velata dose di circolarità inquieta Kotche da l’impressione di non riuscire a risvegliare l’ascoltatore dalla profondità ipnotizzante, nonostante sia conscio di vivere una NON realtà parallela alla nostra vita routinaria.

Così, in un lento climax progressivo, un vento liberatorio allontana l’ansia nebbiosa per lasciare spazio a distorte sonorità space dal sapore psichedelic-retrò.

LATO B

Il lato b, a primo acchito appare meno entusiasmante; infatti con il terzetto Pupillo-Kazuhisa-Yasuhiro si torna su canoni più strettamente noise, caratterizzato dall’assenza di un’attesa esasperazione delle sonorità. Nella sua composizione iniziale, una chitarra improvvisa e fonde i rimbombi di un batteria free jazz e dei battiti liminari del basso targato ZU. Durante la performance, il ritmo sale e scende come un onda anomala nutrita da piante imprò, da cui fioriscono sei corde atte a sperimentazioni d’assenza, ma rispettosa nel non divorare gli altri canali sonori.

Nello svolgimento di questo lato della moneta Wallace, si riesce ad intravedere uno sguardo verso quel rock inteso nel senso comune del termine, tra virtuosismo ed accelerazioni che portano con sé il passato seventies, esplorando, nella sua seconda parte, le corde stoppate in maniera funkeggiante sino a razionalizzare un ascolto sapiente ma a tratti poco innovativo.