Adriano Celentano

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Ogni volta che Adriano Celentano si affaccia sugli schermi televisivi, l’Italia più politica che musicale, si ritrova a dover fare i conti con chi, come lui, è considerato uno scomodo personaggio mediatico.

Diversamente dalle “bulgare” vittime sacrificali, Adriano ha il merito, a tratti demagogico e populista, di non appoggiarsi esplicitamente “né a destra, né a sinistra” come cantava qualche anno addietro in “Esco di rado e parlo ancora meno”. Quindi, inevitabilmente questa recensione, a differenza di altre, sfocerà nei vari mondi paralleli che il molleggiato vive in questo momento, anche nel tentativo di dare maggior completezza ad un disco che nasce sotto la lunga ombra creata da Rockpolitik.

È infatti proprio la trasmissione di Beldì a fare da traino all’uscita discografica targata Sony e Clan, come altro non potrebbe essere. Sin dalle prime impressioni, ci si rende conto che nello studio degli ex capannoni di Brugherio tutto è studiato alla perfezione, e nonostante il caldo dei riflettori, ci si trova di fronte ad una scenografia magnifica e curatissima, che richiama l’ambiente urbano, spesso criticato dal ragazzo della via Gluck.

La certosina attenzione sui tempi televisivi, fanno vivere con palpitazione la presenza scenica di Adriano, mentre l’orchestra di Celso Valli dona qualità alle performance musicali. L’accuratezza voluta dall’artista per la sua trasmissione, si riflette anche nel nuovo disco “C è sempre un motivo”, che da un punto di vista sonoro ed organizzativo sorprende per una musicalità adeguata ai tempi, ma che non vuole essere moderna a tutti i costi, rischiando di essere la parodia di se stessa.

Il recente lavoro, apre le danze con la bella e convincente “Ancora vivo” nata dalla collaborazione con Mogol-Bella. Il brano racconta una storia d’amore che vive e fa rivivere emozioni che ormai sembravano perse; un sentimento che sa di avere la forza e la saggezza degli anni e contemporaneamente quella innocente capacità adolescenziale di turbarsi come le prime volte.

Sin dalle prime track emerge l’ottimo arrangiamento musicale ben supportato da una gradevole sonorità orchestrale. Fra le canzoni più convincenti ritroviamo senza dubbio la titeltrack che apre Rockpolitik, la quale nonostante un’ipostazione di tonalità troppo alta, è dominata da un ritmo hip pop ridondante ma piacevole, che cala solo alla distanza. Di buon livello appaiono anche la tangheggiante “Lunfardia” melanconica narrazione argentina, “Proibito” esposizione suadente e delicata, e la conclusiva “Vengo dal jazz (Bensonhurst blues)”, un jazz dal gusto mediterraneo, che sembra uscita dalla voce delle origini.

Ma il disco non è fatto solo di presente, infatti gli aficionados avranno una vera e propria sorpresa ascoltando “Quel casinha”, versione portoghese de “Il ragazzo della via Gluck” ri-arrangiata in sudamerican style, ed impreziosita dalla soave voce di Cesaria Evora.

Insomma come ogni volta Celentano si ripropone avvolto nella sua veste da predicatore televisivo, da bischero ( come dice Roberto Benigni), da discografico e anche da cantante. Tralasciando quindi. alcune indecisioni televisive, razionalizziamo il fatto indubbio che, ci si trovi di fronte ad artista con la A maiuscola capace nella sua poliedricità di farci capire il senso vacuo del “Proibito, sai parlare proibito anche sognare proibito…”