Aktuala – La Terra

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Una delle cose che mi affascina di più è vedere l’entusiasmo degli appassionati italiani di musica intorno ai cinquant’anni, quando mi parlano di quello che succedeva negli anni 70 nel nostro paese. E’ incredibile per me ascoltarli perchè oggi è molto difficile immaginare che una scena sperimentale, creativa e progressiva possa raggiungere tali livelli e suscitare un così grande interesse nel panorama nazionale dominato dalle radio e dalle etichette discografiche. Eppure negli anni 70 sembrava fosse tutto “normale”, gli ascoltatori volevano sentire cose che li scuotevano, che gli dessero nuove visioni, quasi che li trasportassero in una nuova dimensione. Non è un caso che la scena italica del periodo sia considerata una delle più importanti del mondo, in Europa forse seconda solo a quella inglese se si parla in termini stretti di “progressive”. In effetti i gruppi e gli artisti sono tanti con miriadi di tendenze e sottogeneri la cui descrizione rischia di essere fuorviante e di limitare l’inventiva degli autori in questione. Alcune influenze da oltremanica sono evidenti, su tutte quella del rock sinfonico alla Genesis ed in parte anche la miscela rock-jazz canterburiana che a sua volta traeva ispirazione dalle magie elettriche di Miles Davis. Nel calderone tricolore quindi c’era di tutto, spesso con risultati ottimi ed originali, qualche volta con qualità offuscata da palesi tentativi di imitazione.

Uno dei gruppi meno catalogabili ed allo stesso tempo più originali viene considerato parte del movimento “prog” ma in realtà va ben oltre, sfiorando world music e jazz senza risultare nè ridondante nè pretenzioso: si tratta degli Aktuala. Nati nella Milano post-sessantottina, ancora pregna di spirito ribelle e rivoluzionario incarnato da gruppi come Area e Stormy Six, gli Aktuala in realtà esprimevano esclusivamente tramite i loro strumenti il senso di protesta, portandolo tra le strade, nei parchi ed infine sul disco. A guidare l’ensemble Walter Maioli, etnomusicologo e vero e proprio deus ex machina di una “piccola orchestra” che comprende anche strumenti sui generis come arpa, tablas e viole.

“La Terra” del 1974 è il loro secondo lavoro, segue il loro omonimo esordio sfumandone le caratteristiche più convenzionali e traducendo il progressive in influenze etniche e in tracce di jazz d’avanguardia. Ovviamente c’è ben poco di convenzionale nei quattro lunghi pezzi contenuti nel disco, specialmente per le orecchie poco abituate a determinati esperimenti sonori ma a discapito di chi classifica cosa sia orecchiabile o no, l’ascolto de “La Terra” potrà risultare un’esperienza piacevole e per nulla noiosa anche per chi usualmente non si spinge oltre certi limiti.

La prima traccia, di quasi otto minuti, si chiama “Mina” ed ha due veri protagonisti: le tablas e i fiati. Le prime, per l’occasione sono affidate alle sapienti mani di Trilok Gurtu (ospite speciale quanto mai ad hoc) e sono le assolute regine del ritmo che batte incessante dall’inizio alla fine, con una verve potente ed allo stesso tempo raffinata, capaci di trasportare in luoghi lontani mentre discreti ed affilati i fiati di tromba e di corno si affacciano sul suono creando un mix di sapori tra il rurale e l’urbano che sfugge ad ogni tentativo di catalogazione. Se in questo brano il ritmo tira dritto dall’inizio alla fine, è il crescendo che caratterizza il successivo “Mud”. Percussioni praticamente nude in partenza, raggiunte inizialmente solo da una chitarra acustica e da qualche richiamo lontano di fiati per dipingere immagini che potrebbero essere quelle di un tramonto pakistano e di sabbia che si scurisce al calar del sole. Ma a metà pezzo le percussioni si fanno prorompenti ed irrompe un assolo di tromba alla Don Cherry che porta il lato free jazz alla ribalta. La conclusione è persino più esplosiva grazie all’inserimento del violino e dell’organo i quali portano colori cupi al caos, come se quel tramonto fosse diventato una mattinata tra i banchi di un affollato mercato.
Gli echi distorti ed il rumore si allontanano per far spazio alle atmosfere meditative di “Sar”, brano elaborato su strumenti acustici con un attacco simile ad una nenia orientale, tra flauti ed armoniche che si inseriscono tra gli accordi di chitarra e discrete percussioni che poi cresceranno nella parte finale del pezzo per dar sfogo ancora una volta agli elementi più “nervosi” del suono, segnati da toni new age con un guizzo di ritmo africano e l’immancabile tocco “free”. Il cerchio si chiude con i nove abbondanti minuti della traccia che dà il titolo all’album nella quale gli Aktuala concentrano tutto il loro stile e danno ampia dimostrazione della loro ecletticità. L’apertura richiama quasi il prog delicato alla Caravan segnato dalla chitarra acustica che fa spazio alla tessitura del pezzo, avanzando pian piano nell’esoterismo delle percussioni e di suoni assolutamente orientali fino a giungere al frenetico incedere della tromba che però in questo caso non dà il colpo decisivo ma serve solo da spartiacque per un finale che pian piano ritrova la tranquillità desertica e chiude facendo incontrare di nuovo la pace con il caos. Un caos assolutamente raffinato e di gusto, una speranza forse che “la terra” possa vivere in armonia coi suoi suoni, i suoi colori e le sue diversità.

Il messaggio in musica degli Aktuala è più profondo di tanti testi logorroici e senza una parola il gruppo riesce a comunicare mille emozioni, sapendo ottimamente coniugare la tecnica all’originalità, il talento alla passione. L’ascolto de “La Terra” è consigliato a tutti, di qualsiasi età ed estrazione, per sfatare una volta per sempre la leggenda che certa musica è solo per esperti od intellettuali. Questa musica è un linguaggio universale che sarebbe bello riportare in auge in un paese dove siamo ormai quasi schiacciati dal vuoto.