Al the coordinator “Join the Coordinator”, recensione

althe.jpg

Bastano 14 secondi per capire un disco?

Inizio a pensare di sì!

Chitarra alt folk, dita che giocano come fossero al di là dell’oceano e una linea vocale graffiata che, con il suo calore e la sua magica espressività, invita l’ascoltatore in un mondo che non vuole uscire dallo stereo.

Tutto questo in 14 secondi?

Sì! E lo scrivo con il punto esclamativo, perché la traccia d’overture riesce a raccogliere frutti maturi e senza tempo. Infatti, credo (e spero) di non sbagliare nel definire il disco di debutto di Al the coordinator un nuovo nascente astro alt folk rock, narrato da note evocative di polveri country ( Golden (Or Life On Your Own) ) e movimenti emotivi (The hunter’s prayer) pronti a giocare con un docile ed accorto finger picking.
Il mondo raccontato da Aldo D’Orrico sembra voler rimandare in maniera indiretta ( Erwin Last Passion ) e diretta (Girl from North Country) all’eterno Bob Dylan, mostrandosi così talento puro, qui intercalato tra il coraggio di reinterpretare e la piacevolezza del portare sonorità in grado di viaggiare da Cat Stevens ( The Mist ) fino a sensazioni blue ( Pickin’ On My Heart ).

Un disco in cui il banjo si allinea alle sonorità natie del mandolino, invitando al narrato il pianoforte di Leo Pari e il violino di Andrea Ruggiero, riuscendo così a mediare lungo l’asse temporale, riportato in un habitat naturale quanto le ambientazioni di Sufjan Stevens.

Così, tra smarrimento, ricordi ed emozioni, il cantautore si offre alla tradizione bluegrass di Working on a building e al country blues di Salt Creek, ottimo brano strumentale, bridge della giocosa Really cares about, solare e minimale traccia, posta al servizio di un disco di cui mi sono innamorato immediatamente… nonostante la perfettibile work art che, al di là dell’ottimo font, non riesce a raccontare per davvero questa splendida perla musicale.