Ali Farka Toure – Savane

Copertina

Esce postumo questo Savane, registrato a Bamako tra l’hotel Mande, sulle rive del Niger, e lo studio Bogolan, poco prima che Ali Farka Toure morisse, il 7 marzo di quest’anno, nella sua casa che si affaccia su un piazzale polveroso di Lafiabougou, nella perifieria di Bamako.

Ci viene presentato come il terzo e ultimo volume di una trilogia, già celebrata nelle recensioni dei precedenti In the Heart of the Moon, con Toumani Diabate, e Boulevard de l’Independance, dello stesso Toumani con la sua Symmetric Orchestra.

So benissimo che a non tutti piace il blues. C’è chi lo trova noioso, una sola canzone ripetuta in mille dischi, in infinite interpretazioni. Le sue perenni dodici battute, la malinconia delle sue terze e settime diminuite, le blue notes, il colore delle voci rauche, delle parole storpiate, delle note tremule e strascinate, i testi struggenti e graffianti, ruggenti e strazianti.

La musica di Ali Farka Toure non è blues, bisogna ricordarlo, perché lui si arrabbiava con chi assimilava i rami e le foglie della musica degli schiavi afro-americani con il suo equivalente africano, che ne costituisce invece le radici. Ma viene anch’essa da un delta, il delta del Niger, un fiume che si rompe in mille rivoli non in prossimità della sua foce, come il Mississipi, ma in pieno deserto. Forse la sua musica non rispetta le dodici battute, ma intreccia tempi binari e ternari come fa la ritmica africana. Forse non troverete le blue notes, ma anch’essa viaggia su una scala pentatonica in minore, e in quanto a colore …. beh, ascoltate e giudicate. Anche chi non ama il blues potrebbe rimanere ammaliato dal nuovo disco del “mulo” di Niafunke, musica vera che viene direttamente dal cuore e dalla terra.

Le melodie e le ritmiche sono quelle del deserto a cui Ali ci ha abituato da sempre, musiche dei popoli nomadi come i Peul e i Tamashek, o degli abitanti del nord come i Songhay e i Bambara degli antichi imperi. Le note della chitarra, elettrica o acustica che sia, evocano i raggi infuocati del Sahara, le vaste pianure desolate interrotte solo dall’ombra di qualche baobab.

Accanto ad Ali Farka troviamo stavolta due djeli bambara, Mama Sissoko e Basekou Kouyate, ex chitarra con i Super Biton di Segou il primo, già nel trio acustico di Toumani Diabate ai tempi di Djelika il secondo. Entrambi sono giganti del n’goni, l’antico liuto a quattro corde originario della regione di Segou, anch’esso strumento blues la cui semplicità e i cui limiti armonici e sonori gli impongono spesso un ruolo da comprimario, a meno che un fuoriclasse non gli sprema fuori la sua straordinaria personalità, inventando rifs ipnotici, note sporce e trascinate e scomposizioni ritmiche asimmetriche. Sia Mama Sissoko che Basekou Kouyate suonano in quasi tutti i brani, intrecciando i loro arpeggi improbabili con quelli di Ali.

Le percussioni sono rappresentate, come sempre, soprattutto dal calabash, un idiofono nelle mani di Souleye Kane, formato da una mezza zucca svuotata e rovesciata, suonata colpendola con i palmi, ad emettere suoni cupi e sordi, mentre due lunghe bacchette arricchiscono il ritmo con il loro ticchettio di suoni acuti e secchi. Anche il coro non poteva mancare, tra cui troviamo nuovamente Afel Bokoun, il discepolo di Ali, e Ramata Diakite dal Wassoulou, oltre a molti altri. Infine il njarka, il violino tradizionale a una corda, uno strumento usato anche da Ali, che in Savane è suonato da Fanga Djawara.

Ospiti fugaci sono il grande flautista nigerino Yacouba Moumouni, leader dei Mamar Kassey, l’armonicista blues mezzo greco e mezzo inglese Little George Sueref, Massambou Wele Diallo al bolon, il n’goni basso tradizionale dei cacciatori bambara, e infine il solito Pee Wee Ellis al sassofono.

Nel frontespizio del libretto si legge: “Non è tanto la musica ad essere importante, quanto ciò che hai da dire. Ma la musica deve essere buona, così la gente ascolterà le parole”. Ed è per questo che, questa volta, ogni canzone è spiegata dettagliatamente, sia in inglese che in francese: le origini, il testo, il contesto. Ali Farka canta e parla con voce naturale, usando i linguaggi dei popoli del deserto del Mali, come il fulani, il songhay e il bambara, ma a tratti anche il francese. I testi sono semplici e parlano delle cose vere a cui pensa la gente del Sahel: il lavoro, l’amore, l’educazione, le virtù, e poi le antiche storie.

La musica di Ali Farka è come sempre totalmente aliena al mondo dell’industria discografica, è scarna, ipnotica, spirituale e terrena. Savane è un disco splendido, almeno quanto il precedente Niafunke, rispetto al quale è un pò meno brutale, forse, ma grazie ai due n’goni vola più in alto, leggero e delicato. Un pezzo d’arte.

Brani:

1. Erdi
2. Yer Bounda Fara
3. Beto
4. Savane
5. Soya
6. Penda Yoro
7. Machengoidi
8. Ledi Coumbe
9. Hanana
10. Soko Yhinka
11. Gambari didi
12. Banga
13. N’Jarou