Andreani Filippo “Scritti con Pablo”, recensione

filippo.jpg

Aprendo il delicato packaging di Scritti con Pablo, sembra fuoriuscire un delicato effluvio armonico di musica e poesia; un sapore di meditazione invernale da accogliere davanti ad un camino che strepita e ad un brandy invecchiato in botti di legno. Quel sapore dolciastro e meditativo è infatti quello che cercano di racontare le note degli 11 brani promossi dalla Lucente Srl e dalla Venus distribuzione. Tracciati notturni e riflessivi scritti nelle ore di dopocena invernale, attimo che sembra notte fonda eppure è ancora sera…ore che servono a pensare pensieri che ti porterai a letto e che nel letto culleranno il primo sonno.

Scritti che trasudano una dolcezza ed una pacatezza compositiva che si ritrova nell’omaggio a Pablo, fonte di ispirazione scenica per un disco che si ritrova, impreziosito da un booklet esteticamente curatissimo, che nonostante qualche sbavatura fotografica potrebbe benissimo essere un prodotto di Eddie Vedder. Colori tenui e collage raffinati pennellano ulteriormente gli acquarelli sonori, raccontati da un autore che sembra voler prima di tutto esprimere il proprio ego introspettivo, per cibare la sua necessità di raccontarsi. Ascoltando la sua penna si ha difatti l’idea che i suoi archetipi siano parole atte a soddisfare un vero cantautore, che prima di tutto concede a sé stesso il piacere del narrare.

Il disco, artisticamente prodotto da Simone Spreafico, racchiude sentori cantauotoriali capaci di riportarci alla mente partiture anni 70 e a tratti, come d’improvviso, ci si ritrova proiettati ancor più indietro grazie a trovate sonore e melodiche, che ricordano i primi decenni del dopoguerra.

Il disco si apre con la struggente Per voce di Aldo , in cui ritroviamo una sorta di crocevia artistico tra stimoli compositivi propri di Mauro Ermanno Giovannardi ed un cantautorato ricercato che si adopera nel (non sempre riuscito) tentativo di nobilitarsi. La tromba di Raffaele Kohler regala, qui come altrove, un effetto piacevole e rasserenante per interventi di certo non molto originali, ma fedeli al terreno a cui appartengono.

La dolce aria dell’outro ci porta poi verso la convincente esecuzione di Bruno, su Genova, il cielo, che racconta di una città stranita ed incapace di comprendere il proprio dolore, isolandosi nell’indaffarata indifferenza per i suoi poeti. L’omaggio De Gregoriano a Bruno Lauzi propone un ottimo songwriting che, oltre ad essere il lato forte del disco, riesce a definire in maniera poetica eventi di vita vissuta, proprio come accade nella autobiografica Non Passarmi oltre e In volo.

Se poi brani come L’assenza e Quasi soltanto mia non convincono più di tanto, è anche vero che il prezzo (contenuto) del disco si recupera in due piccole perle dal background jazz Anna e la primavera e Ostinata e dolce, in cui le spatole accarezzano le pelli in ritmiche cadenzate ed orecchiabili. Brani da club, che tra contrabbasso e pianoforte aprono la via alla chiusura dialettale di Alete e al ragasol, cover di Pierangelo Bertoli. Una sorta di ninna nanna che chiude un disco controverso, in cui il lati positivi si danno equilibrio con una serie di sbavature che, forse figlie della voglia di raccontare, finiscono per portare l’arte di Filippo in una città come tante altre.

Un disco che possiede una vera e propria arte oratoria, anche se a tratti non è supportata da una vocalità all’altezza delle idee…ma in fondo qualcuno ben più autorevole di me disse la medesima cosa su Bob Dylan.