Atari “Can eating hot stars make me sick?”, recensione

atari.jpg

Un packaging di sottile cartonato, un booklet essenziale e una cover-art capaci di mescolare poetica secolare ad intuizioni moderniste, in una costellazione di tracce (sonore) che richiamano l’ascoltatore a vivere di una mescolanza iniziale di intenti trasversali, atti a modificare il semplice andamento altronico. Lo studio di copertina richiama anche il fertile territorio musicale della band, all’interno del quale la pacifica e cheta vulcanizzazione inattiva e silente si compone di note che (tra)scendono verso un indie pop elitario e nobilitato dalle ossature musicali. Il duo partenopeo offre un disco ricco di sfumature e aperture su orizzonti senza frontiere. Le etichette sono qui difficili da definire con precisione, tanto è vero che anche chi non percorre spesso questi sentieri musicali, può ritrovarsi attratto dall’opera degli Atari.
In questo nuovo disco, infatti, ritroviamo ampolle armoniche accanto ad effluvi sintetici che trovano il loro punto di partenza in quei straniti anni 80 ad 8 bit.

La finestra sul mondo del combo sudista è pulita da un quieto e climatico ritmo ipnotico-ossessivo, che dà il via all’incipit musicale di Take Me to Venus , il cui scheletro portante è ammorbidito (in parte) dalle basse note e dalla luce vocale del frontman, che tiene le redini di un gioco splitsonico, mescolando aperture post air e sguardi retrò. Sin dalla prima stella si percepisce una dose cospicua di magia compositiva, che ci trasporta all’interno di bianchi e genuini sogni sonori. La nascenti onde pop percorrono poi la voce e l’impianto musicale proposto, proprio come accade nel chorus di White Dreams , in cui la sagoma su cui si regge la strofa si piega ad un orecchiabile intarsio pizzicato di rumors and alt.

Il tuffo nel passato si compiace poi dei graffi riprodotti ed impolverati di If My Brain Was a Program, su di un beat da consolle, in cui si racconta di un songwriting piacevole e orientato verso il mondo Orwelliano, per poi cambiare direzione rientrando su di un Orbital Station , in cui il testo ermetico, ciclico e ridondante appare proprio simulare il percorso lineare di un satellite attorno al suo pianeta. La traccia, non troppo concreta e convincente, risulta comunque giocosa ed inusuale, ma non su i livelli della concettualità del Mai espressa in City Lights. Infatti il brano Pinkfloydiano ( al pari di Overlight), offre un rumorismo edulcorato in grado di raccogliere idee industrial nel suo ego cadenzato e impietoso. Un tuffo tra il fumo della meccanizzazione oscurantista, tra cambi di direzione e ossessività idiomatica, perfetto parallelismo con il testo filmico Chapliniano a cui il titolo sembra ispirarsi.
A chiudere l’album ci pensa infine Casually, buon indie elettronico che tra i giochi sonori elaborati, pur non apparendo la chiusura ideale, regala all’ascolto l’ennesimo motivo su cui elucubrare in maniera razionale e genuina.

Tracklist:

01 – Take Me to Venus [4:18]
02 – White Dreams [3:34]
03 – Jack You Are a Scientist [3:26]
04 – If My Brain Was a Program [4:22]
05 – Becomes a Whale [5:23]
06 – Orbital Station [4:13]
07 – City Lights [4:10]
08 – Overlight [2:56]
09 – Black Ink [3:19]
10 – Ants Marching [3:16]
11 – Casually [4:44]

Tour dates

08.10.2011 | Lanificio 25 – Release Party / Napoli31.10.2011 | Vomitaizer @ Barbara Disco Lab / Catania03.11.2011 | Sine’ / Porto Virò (Ro)04.11.2011 | Beat Cafe’ / San Salvo (Ch)05.11.2011 | Groove / Potenza Picena (Mc)11.11.2011 | Always Never Again / Cosenza12.11.2011 | Cuborock / Catanzaro24.11.2011 | Tribu’ / Nocera Inferiore (Sa)02.12.2011 | Lio Bar / Brescia03.12.2011 | Blah, Blah / Torino09.12.2011 | Agora’ / Cusano Milanino (Mi)17.12.2011 | Jah Bless / Torre Del Greco (Na)29.12.2011 | Way Out / Battipaglia (Sa)30.12.2011 | Cantina Mediterraneo / Frosinone