Barbarian Prophecies “XIII”, recensione

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I Barbarian Prophecies, talentuosa metal band spagnola, giunge oggi a licenziare la propria terza fatica, grazie agli sforzi della sempre attenta Worm Hole Death. La nuova release, dinamica, granulare e corposa, si offre con il suo lucido digipack ad un target “metallico”, ben più esteso di ciò che si può desumere da un primo ascolto.

Le sfumature cromatiche, assieme al vitale ed impavido atteggiamento espressivo, giungono a sorprendere per intensità e cura narrativa. Un ciclo deliziosamente oscuro, aperto dalla sensazione d’attesa profetica dell’incipit (The hidden ), riuscita overture composta da Raul Muradas. Una mescolanza ardita di strutture diluite, cambi direttivi e spezie black, pronte a virare nelle proprie strettoie verso un death ponderato e battente. Il timbro vocale, graffiato è arroccato, si offre alla martellante sezione ritmica, che arriva a modulare un trainante groove ( Anger ), in cui intuizioni oscure e mefistofeliche si intrecciano ad ipotesi thrash, celate dietro a costrutti complessi e ad un ottimo songwriting. I giochi catchy dell’enclave sonora e le impronte anni ‘90 arrivano poi a d impreziosire la linea vocale, tipizzata ed espressiva, mentre l’andamento cavalcante sembra dover qualcosa all’intensità e all’identità teutonica dello scorso secolo, definito tra oscurità, profondo growl e riffing tipico dell’age d’or.

Una tecnica esecutiva impeccabile ed avvolgente, proprio come dimostra la linearità di Into the infinite void, i cui ritmi cadenzati arrivano, senza soluzione di continuità, a delineare uno dei brani migliori del disco. Un’ottima performance in grado, non solo di dare risalto alla partitura, ma anche di ridefinire, tra cambi emotivi e ripartenze, le svariate sfumature vocali.

L’album del combo iberico offre svariati cromatismi emozionali, voluti e ricercati, proprio come dimostrano le collaborazioni presenti nel lungo platter. Tra le impronte più riuscite annoveriamo le sensazioni emanate dalla sei corde di Embrace of insanity, da parte di David Munoz, in grado di immergersi tra un portentoso riffing ed uno sdoppiamento vocale in cui ritroviamo Oscar Insua Jumpin. L’impronta sonora, che per certi versi sembra richiamare gli ultimi Cannibal Corpse, offre guizzi espressivi intensi e visionari, proprio come accade con Dreadful Game, straordinaria lettura di impianti sonori del più classico death, qui impreziosito da cambi di tempo aggressivi, ma al contempo misurati

Il disco scivola via coinvolgendo e trainando i fan del genere verso un inevitabile headbanging, qui inquinato da trovate stilistiche che non riescono a mitigare l’eccessiva durata del full lenght. Non mancano certo scheletri sonici di più agevole impatto, né tanto meno sistemi narrativi costruiti a tavolino (XIII). A chiudere il mondo oscuro dei Barbarian Prophecy sono infine la poco convincente 9 days of storm, eccessivamente costruita su banalità espressive e la magnifica espressione artistica di Engulfed, coverizzazione dell’omonimo brano dei Absorned.

Dunque, nonostante alti e bassi, non ascoltate i facili detrattori, pronti ad accusare i Barbarian Prophecies di una presunta mancanza di stile; la band galiziana, con questa nuova release, ha costruito uno straordinario viaggio nel death, riuscendo a bilanciare emozioni e contenuti, levigando gli angoli delle proprie estremità.