Baskery – Fall among thieves

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Le Baskery, per chi ancora non le conoscesse, sono un giovane trio svedese, composto dai visi televisivi di Greta, Sunniva e Stella. Le tre sorelle, promosse dalla sempre attenta Glitterhouse records, si presentano al pubblico con l’album d’esordio “Fall among thieves”.
Curiosando nella rete, cercando di ottenere qualche informazione suppletiva sulla nuova band, mi sono imbattuto sulla loro pagina di Myspace in cui ho ritrovato alcuni termini come “banjopunk” e “Mudcountry”, utilizzati nel tentativo di definirne il sound. Incuriosito, mi sono messo comodo per ascoltare il loro primo full-lenght, nella convinta certezza di trovarmi di fronte a qualcosa di nuovo, ed invece…

Il debut album ha inizio con il fade in di “The brave”, una sorta di pop country animato dalla vocalità delle tre svedesi. Il sound rasenta sentori alt-country, ma non riesce a decollare a causa di un cantato banalizzato nella sua composizione easy listening. Il viaggio sembra migliorare con la beckettiana “One horse down,” in cui la grinta delle Bondesson, attraverso sentori west, si appoggia alle sei corde distorte del Banjo accarezzato da uno slide convincente, ma non del tutto vincente. L’impressione (forse sbagliata) è quella di una band che possa essere maggiormente apprezzata dal un target post-adolescenziale, con i suoi passaggi discreti ma non entusiasmanti, come nella sconcertante “Out-of-tower”, beat-pop dal coretto imbarazzante. Ma non tutto è sui livelli della debacle compositiva inserita nella traccia 5. Infatti innegabilmente piacevole risulta essere la ballad “Oscar Jr restaurant bar” e “Spoken word”, che insieme a “Harsh”, si presenta come il brano più efficace, grazie alla maggior consistenza stilistica.

Insomma “Fall among thieves”, pur rappresentando un rispettabile debutto, e pur sviluppando avveduti passaggi sonori, tende a franare inseguendo noiose e ridondanti modalità old west e stopposi e continuativi approfondimenti vocali, in cui le voci delle tre sorelle si ostinano a incrociarsi, perdendo così il valore portante delle loro singolarità. Per chiarirsi meglio le idee, basta ascoltare la dolce ed accattivante “Hold on”, che trova il suo punto sfibrato proprio nel luogo i cui le tre voci confluiscono, indebolendosi a vicenda.

Il merito di questo album, che mi sento di consigliare a chi ama ed apprezza tutte le svariate forme musicali che derivano dal old classic country, è senza dubbio quella di essere venuto alla luce senza nessun tipo di sovra-incisione, ma questo di certo non basta. Il cerchio che sembra volersi chiudere con il fade out della conclusiva “The wise”, non sembra ancora pronto per essere ultimato…