Clowns From Other Space “Zeng”, recensione

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E se volessimo attraversare una porta temporale per balzare nel passato del Regno Unito, posto tra gli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘90 e potessimo approdare in uno spazio alternative e parallelo… chi e cosa incontreremmo?

Probabilmente i Clowns From Other Space.

La band di Teramo, infatti, richiamando una realtà musicale a noi vicina, sembra voler dichiarare i propri intenti grazie alla straordinaria apertura di un disco che (proprio per merito di Shiftted) pone l’ascoltatore su di un piano di ricezione agevolata, attraverso sensazioni perdute, vissute e ritrovate. Un mondo etereo, già esistito o forse non ancora esistito, in cui planano spezie Muse (Eze’s story) e delicati arpeggi (Wall of Tzu) continuamente collegati, come il disco tutto, al mondo più diretto dei Radiohead.

Legati da echi, riverberi e strutture oniriche, in grado di citare a tratti anche il mondo desertico, il disco legato Bolenskine House Records non appare come un’opera diretta che si comprende nell’immediato, e non è neppure un disco germinale o epocale, è semplicemente un disco in cui idee e strutture sonore si uniscono in una sinergia ben definita, in grado di superare la banalità (How to became a fool).

A spingermi verso la recensione, al di là del comunque convincente mood sonoro che domina il disco, sono stati di certo l’ascolto di In the presence of the lady Thruth,che per certi versi ho trovato vicina al TomYorke di Pablo honey, e la conclusiva Scenes, atto di chiusura per un disco in cui entrare piano piano.