Coherence

CD cover

Trentacinque anni di grande musica, tavolta grandissima. Questo sono gli Yellowjackets, di fatto una delle colonne portanti nella storia stessa della musica fusion, perché di questo genere sono stati tra i principali divulgatori, prosecutori ed esempi quasi didattici, contribuendo da protagonisti a rappresentarne anche i percorsi evolutivi quando gli anni ’80, concludendosi, hanno cominciato a mostrare i limiti di settore e quindi, come spesso accade, a tracciare una linea di demarcazione tra chi fosse capace di stare dov’era stato e basta e chi sapesse invece andare oltre; certamente il gruppo di Russell Ferrante ha mostrato coi soli muscoli della musica di poter evolvere, tant’è che fino a qui c’è arrivato senza affaticamenti sonori, ma semmai con qualche cambio di organico che non sempre ovviamente è passato indolore.

La discografia del gruppo ha spaziato dall’easy listening fino ad un post-bop tirato ed elettrico lasciando sempre la sensazione all’ascolto di musicisti fuoriclasse, sempre sul pezzo. Coherence non fa differenza, ed oltertutto non la fa pur tornando nuovamente a spingere sul versante jazz (sempre in versione elettrica) anziché sul R&B o sul funk (a parte un paio di episodi che invece stanno proprio da quelle parti), con un gioco di alternanze a cui i longevi fans del quartetto sono abituati da sempre, avendo a che fare con uno dei pochi gruppi che nel tempo hanno articolato e reso più complesso il loro discorso musicale anziché replicare successo comodo (altra caratteristica che rende insensato ogni pur ciclico tentativo di assimilare i nostri ad altre realtà del mondo fusion ben più “piatte”).

La line-up consolidata (Ferrante, Mintzer, Kennedy) vede ora al basso non più lo storico Jimmy Haslip né il figlio d’arte Felix Pastorius, ma la nuova promessa australiana Dane Alderson, che sembra decisamente a suo agio enl restituire un sound guardacaso coerente e compatto in ogni brano assieme agli altri. Peraltro, a parte le differenti scelte timbriche e di effettistica rispetto ad Haslip e Pastorius (Jr…), in alcuni passaggi sembra proprio evidente la volontà di riferirsi ad approcci “Haslipiani” in termini di fraseggio o architetture di accompagnamento (ottimo esempio è Inevitable Outcome, per dirne uno).
Gli altri tre elementi suonano come un uomo solo e soprattutto come se un domani ci fosse, anziché no. Mai stanchi, sempre eleganti, quadratissimi eppure lisci, oltretutto sull’ostico terreno di composizioni che non hanno quasi mai la cantabilità degli ultimi due lavori perchè vanno ad infilarsi lungo pendii compositivi in cui il jazz prende piede e mani. Il groove, il feeling, l’interplay e tutte le belle parole che più raramente manifestano in concreto altrettanta bellezza trovano invece qui come quasi sempre risultati efficaci e felici, anche se appunto magari manca stavolta il pezzo che “resta”, quello da canticchiare con loro al concerto.

Insomma, stavolta (ma non è affatto la prima) è un lavoro senza sorpresone, ma in primo luogo aspettarsi le sorpresone di chi suona ad altissimo livello per 35 anni (ed anche stavolta fa centro) non ha molto senso, e poi siamo veramente al cospetto di chi ha esperienza, capacità e solidità tali da potersi permettere di lasciar andare fuori un lavoro in cui si suona liberamente una musica anche complessa e ci si toglie lo sfizio di rimanere grandi sembrando freschi e giovani. Chieder loro pure di fare la rivoluzione ad ogni nuova uscita è fuori posto; mettiamoci pure che, in ambito fusion, gli Yellowjackets sono tra quelli che i cambiamenti li hanno fatti eccome.

Registrazione piacevole come sempre per quanto riguarda tastiere, basso e sax; batteria talvolta un po’ opaca e l’EWI di Mintzer tende talvolta a stridere. Non che il timbro dell’EWI sia in assoluto un miracolo di soavità, certo.

Consigliato? Certamente. Sconsigliare gli Yellowjackets è molto… sconsigliabile, anche perché richiede motivazioni molto forti tra quelle oltretutto assolutiste, e qui è difficile trovarne. Può certamente non piacervi il genere o il tipo di realizzazione, ma questi come sapete sono argomenti che non mettiamo mai a bilancio nel giudizio perché personali. Ci interessa la qualità, che qui ancora una volta è molto alta.