Concerto Stadio Olimpico 14 luglio 2012 – L’amore è una cosa semplice tour

manifesto

Che la data romana prevista nell’ambito del tour celebrativo del decennio artistico di Tiziano Ferro, sarebbe stata molto speciale, tanto per lui quanto per il suo pubblico, era noto ormai da tempo. Sul suo profilo di FB, in particolare, lui stesso aveva scandito con un countdown i giorni che mancavano all’evento, mostrando delle foto (vere e senza ritocco) che lo ritraevano con l’Olimpico sullo sfondo in modo da sembrare come se tenesse in mano l’intero stadio. Tutta questa attesa, come spesso accade, aveva finito per stressarlo a tal punto da farlo ammalare, e così sul web era già cominciato il tam tam dei menagrami, che vaticinavano l’annullamento o la posticipazione dell’evento.
Ed invece, alle 9.40 di una torrida notte di mezza estate capitolina, partono (quasi) puntuali le note della canzone che dà il titolo all’ultimo album ed allo stesso tour. Spettacolare la gabbia nella quale si cala l’artista di Latina cantando l’intero pezzo dall’interno e mostrando ai fan impazziti, con un gioco di luci, la sua sola siluette. Nel testo c’è tutto il suo amore per “la sua gente” che evidentemente ricambia scandendo ogni parola fino al trascinante brano seguente, “La differenza fra me e te”, che scatena in danza collettiva ogni singola cellula umana presente nello stadio (60/70.000 persone a occhio e croce, praticamente sold out), illuminato a giorno da gigantesche istantanee in bianco e nero, proiettate sui 7 megaschermi che fanno da sfondo al palco.
Come sarà molto più chiaro alla fine del concerto, Ferro ha concepito il suo set in maniera decisamente razionale, in modo da presentare le sue (ben 28!!!) canzoni per gruppi omogenei, secondo criteri diversi che cercherò al meglio di descrivere passo passo. Il primo gruppo di cinque, compresi quelli già citati, è composto da pezzi tratti da “L’amore è una cosa semplice”. Fra questi spicca certamente l’ultimo singolo tutto R. & B. “Hai delle isole negli occhi”, impreziosito da una scenografia da piano bar (immagini di un fumo etereo che si alza verso l’alto).
Si passa poi a un poker di ballate (intervallate solo dal tormentone midtempo “Indietro”, scritto con Ivano Fossati) eseguite su uno sgabello,, che comincia con “Imbranato”, dal disco di esordio, per proseguire con un’attesissima ed intensa “L’ultima notte al mondo”, accoppiata a stupende foto delle alpi, che rimandano con la mente al video clip girato fra vette innevate e ghiacciai.

L’introspettiva “E fuori è buio”, a mio modesto avviso fra le perle più preziose della sua carriera, precede il suo cavallo di battaglia “Sere nere”, dall’album “Centoundici” (ad oggi il più venduto di Tiziano), che viene accolta con un boato tale da rendere evidente come il pubblico non sia solo contento della serata, ma letteralmente in delirio.
Terminate le lente, inizia lo spettacolare set elettronico, introdotto da una “Stop dimentica!” (singolo che lanciò quella sorta di “distributore automatico” di emozioni forti che fu il cd “Nessuno è solo”) ancora più pompata dell’originale. Le immagini, studiate nei dettagli, stavolta sono quelle di una sorta di androide delineato dal computer, ma ancora maggiore è l’efficacia visiva di quelle che accompagnano “Xverso”. Ferro balla con un completo nero “guarnito” di paillettes stile Michael Jackson in mezzo alle “fiamme dell’inferno”, richiamate dal testo della canzone, mentre ad un certo punto, a sorpresa, dai lati del palco vengono sparate delle mega X (stavolta di fuoco vero) che scandiscono perfettamente il ritmo della canzone, rendendo veramente eccezionale il tutto. Il trittico termina con “E Raffaella è mia”, nella quale l’ironia che lo contraddistingue fa da padrona.
Non c’è tempo neanche per respirare che l’istrione torna in pista per ripescare 3 singoli dal fortunatissimo album “Alla mia età” nell’ordine: il Regalo più grande, la title track e Il sole esiste per tutti. In ognuna di esse c’è una fetta della sua vecchia vita, quella prima dell’outing, fatta di ferite, sensi di colpa ed incapacità ad accettarsi per come si è, e nel cantarle è evidente come quelle parole non lascino indifferenti né l’autore, né quei fan (la maggior parte) che hanno letto i suoi libri che ne descrivono ogni retro pensiero. Insomma, l’emozione continua e non dà tregua.
Per contrasto umorale al mini set precedente, Tiziano si cambia indossando un gilet e un borsalino neri presentandosi in mezzo al pubblico, nella parte centrale della passerella, con tutti i musicisti (eccetto il batterista) e cantare un medely dal profumo estivo e più solare in chiave bossanova (TVM), swing (Quiero vivir con vos), jazz (l’Olimpiade, completamente adattata allo scopo) e l’omaggio annunciato alla città di “Roma nun fa la stupida stasera” (da Rugantino). Piccolo contrattempo, una ragazza si sente male e lui ferma lo spettacolo per assincerarsi delle sue condizioni per poi sdrammatizzare il tutto con un simpatico “ecco lo sapevo, i ragazzi non mi mangiano!”. Anche questo, per chi lo conosce, fa parte della sensibilità di Ferro e non è di circostanza.
Tante ancora le canzoni fino al gran finale, fra le quali cito solo T.V.B., non fosse altro perché io e la mia famiglia (al seguito) ci sentiamo direttamente tirati in ballo, quando saluta con tanto calore i suoi concittadini di Latina (citata nel testo del pezzo) e chiede retoricamente se nello stadio ci sia qualcuno che è venuto a vederlo: praticamente una marea di gente che agita urlante le mani come adolscenti.
Per chiudere sceglie per primo il brano più bello dell’ultimo album “Per dirti ciao!”, scritto per una sua fan e dedicato al suo amore scomparso. Verso il finale, in mezzo al prato, 4 cannoni sparano milioni di foglietti bianchi stile Champions League che contribuiscono a rendere totale l’apoteosi (vedere per credere)…

Poi, l’immancabile e cinematografica “Ti scatterò una foto”, legata a doppio filo con Roma in quanto colonna sonora del film di Moccia e dei suoi famosi lucchetti di Ponte Milvio (per chi non lo sapesse, a due passi dall’Olimpico).
Ultimissima canzone, la cover di Nesli (come dire, nomen omen) “La fine”, che paradossalmente sintetizza per filo e per segno, forse addirittura meglio delle decine di canzoni scritte di suo pugno, il doloroso percorso intimo e personale di Tiziano di questi dieci anni. Nel cantarla, senza quasi più voce per la febbre e lo sforzo, non riesce proprio a non cedere alle lacrime, lasciando il palco per la troppa emozione, praticamente senza neanche salutare quella “sua gente” che resta lì estasiata, per aver vissuto due ore e mezzo appassionanti e che difficilmente riuscirà a dimenticare per molto, molto tempo.