Corde Oblique “A hail of bitter almonds”, recensione

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Madames et mesieurs ecco a voi le Corde oblique, inusuale crocevia tra il barocco ed il modernismo, non solo a livello estetico di corver art, ma anche e soprattutto al livello musicale.

Deus ex machina di questo poliedrico progetto è il Maestro Riccardo Prencipe, diplomato in chitarra classica presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. I suoi studi tradizionali, fusi ad un etereo e alternative nu-folk, hanno dato vita a A hail of bitter almonds, sesto full lenght curato per l’edizione italiana dall’accoppiata Progressivamente/Suono records, unita alle sapienti movenze della Lunatik.

Prencipe è ad oggi legato all’egida della label Prikosnovenie, etichetta francese avvinta a musiche sensibili di un mondo immaginario, che hanno trovato il loro incipit nella Nantes di inizi anni 90, grazie a Frédéric Chaplain e Sabine Adélaïde, ai quali si è unito in un secondo tempo Arnö Pellerin. La triade ha dato spazio ad un sensibilità artistica che va ben oltre alle release musicali, come dimostra il piacevole divagare all’interno del loro web site.

Partendo così da sviluppi artistici delicati e promettenti come questi, non ci si poteva aspettar altro che un disco delicato e capace di raccogliere briciole di passato verso un’innovazione stilistica molto spesso ben assestata.

Riccardo riesce, coadiuvato da una folta schiera di musicisti e guest star, a dar voce ad una nuova interpretazione dei suoi studi, alla luce di moderne tendenze prog, alternative e elitist rock. Quindici tracce oblique che danno aria alla cupezza compositiva, senza mai fossilizzarsi in sé, riuscendo anzi a guardare ad orizzonti ben lontani.

Ad aprire questa ultima fatica è proprio la titletrack che, quasi in punta di piedi ci introduce nel mondo dipinto delle Corde Oblique, raccontate attraverso la pulita e gradevole vocalità di Floriana Cangiano, di certo non particolarmente caratterizzata, ma adatta e tipizzata verso un tipo di musica world al quale si anela con questa A hail of bitter almonds. Il brano, sognante e poetico, attraverso una sagace metafora di vita, porta ad accenni folk, narrando quell’inizio di sonno maturabile solo dopo l’aver sognato, come quasi a spingere l’ascoltatore a dare spazio ai proprie visioni oniriche senza doverle attendere dall’inconscio dormiente.

Appare chiaro sin dal principio l’ottima cura del songwriting che ci trascina all’interno di Toghether alone, annoverabile tra le migliori realizzazioni dell’album. La calda e matura voce mascolina di Sergio Panarella regala una sorta di pop ballad vicina alla parte dolce degli A toy Orchestra.
Spesso riff e passaggi acustici finiscono per dare un’aurora retrò, per poi fermarsi e ripartire con una nuova pelle, in cui la protagonista sei corde si accompagna ad pianoforte di Luigi Rubino. Il piacevole chorus riesce poi a rimanere all’interno di un armonica partitura, pur prevedendo cambi di direzione legati ad un medesimo fil rouge.

Quasi superfluo sembra poi dover sottolineare i buoni arrangiamenti e le ottimali regolazioni dei volumi in particolare su Arpe di Vento, in cui si ritrovano sentori dei Terramare, prima di riversarci sul versante sussurrato e pacato di Paestum, in cui però i complessi di voci appaiono parzialmente eccessivi e barocchi.
Il pathos musicale che si ricrea nell’outro, tra movimenti spezzati e poi riappacificati ci anticipano La madre che non c’è, in cui la voce di Caterina Pontraldolfo non convince appieno come invece accade in Le piccole cose, e soprattutto in Crypta Neapolitana , in cui si percepisce il sapore della terra natia. La traccia tenta di coniugare il sapore italico con sviluppi iberici sin troppo facili da percepire, racchiusi in una ovattante cupezza rada e tipica del mondo dark di Closer.

Il capoluogo campano torna poi in Le pietre di Napoli, in cui l’abilità compositiva fuoriesce in maniera genuina e diretta, attraverso un vero e proprio viaggio sonoro che non può essere considerato classico in senso limitato del termine. Strutture composite, cambi ed approfondimenti si ritrovano attorno ad una chitarra capace di dettare la via da perseguire, come un faro notturno. Una magicità che si riversa sulla lirica della terra natia attraverso determinati archi dalla freschezza e dal romanticismo pensoso.

A completare un’infinita serie di indirette citazioni ci pensa poi , Jigsaw Falling Into Place, cover estratta dall’arcobaleno dei Radiohead. L’esecuzione perfetta di Claudia Sorvillo, davvero convincente con la sua interpretazione ben calibrata, capace di donare all’ascolto una traccia posata e riflessiva, che conquista quanto l’etereo controcanto.

Un disco che offre emozioni diluite in partiture ben definite ed idee ardite ma raggiungibili, senza cadere nel citazionismo riflessivo e senza cadere in quell’oblio di pretenziosità che non appartiene alle corde oblique.