D. Brusaschetto Cielo d’inchiostro, recensione

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Dopo qualche tempo torniamo (piacevolmente)ad addentrarci nel mondo della Bosco Records, Net-Label torinese, abile e convincente realtà nostrana, dedita alle frequenze alternative, qui legate alle atmosfere nereggianti e magnetiche del suo fondatore Daniele Brusaschetto, che torna con la sua arte poetica e deliziosamente mormorata, per la nona opera, questa volta definita da un elegantissimo cartonato extraslim da cui il nero pece trova una piccola finestra di ombre illusorie.

Il disco, come di consueto, offre il lato oscuro della nostre psiche tra cariche ipnotico-recessive (Illuminismo) e spazi compositivi che annodano il classicismo illusorio all’avanguardia compositiva (Ho paura di me), da cui emergono tratti sintomatologici del “No future” post punk.

Senza mezzi termini, né mezze misure, l’utente è richiamato all’ascolto attraverso la strumentale Madre natura ci insegna la prevaricazione, movimento ipnotico e ridondante nel suo incipit d’apertura, protratto verso sviluppi vocali strumentalizzati dall’intento espositivo liricizzante che, tra polveri e graffi, ci introducono nel nero oscuro di questo cielo d’inchiostro. L’andamento free si regolarizza però attraverso un anima post, che sembra voler emergere dai primi frastagliati momenti del disco. per poi deflagrarsi nel indutrial noise di Miraggi, che ci incatena a quel filo a cui è legato l’aquilone simbolo di perduta libertà.

L’andamento Godaniano della linea vocale, ci propone inoltre una visione ermetica di un mondo accavallato e confuso, raccontato da tracciati cupi e nereggianti come Il sole del pomeriggio, da cui si riesce ad estrarre un concentrato lisergico di angosce controllate, attraversate da basse note legate a meticolosa ricerca rumoristica.

Ancora una volta siamo di fronte ad una cura capillare delle scelte stilistiche che trovano il loro apice nella struttura depressive di Negare la realtà, in cui l’autore sembra raggiungere una perfetta armonia tra vocalità e apporto sonico minimale, all’interno del quale è proprio lo spettatore a galleggiare auto-ipnotizzato.

Se poi con Conchiglia vuota si regala qualcosa in più alle sonorità più snelle, si torna alla follia compositiva con la tribal-noise Oroscopo di oggi, sussurrata da una voce narrante che con velata ironia ci trascina verso Fili di voce, annoverabile tra i brani più interessanti. Un incubo ricorrente raccontato tra surrealismo e enigmaticità, sono proprio gli ingredienti portanti della track, posata su di una linea piana di note chiuse, rese indefinibili dalla strumentale Un giro a vuoto, per certi versi orrorifica e rugginosa.

Un disco che si propone con la grazia culturale di un atto d’accusa socio-antropologico, ma che attraverso le sue dinoccolate e visionarie parole ci restituisce, attraverso il suo andamento oscuro, la visione orrenda di una vita diurna, resa meno dolorosa dall’attività onirica, fortemente richiamata dal modus operandi del bravo autore e dal packaging interno di un disco racchiuso come i suoi testi all’interno di una carta velina, opaca come la nostre realtà.

Tracklist
1. Madre Natura ci insegna la prevaricazione
2. Miraggi
3. Il sole del pomeriggio
4. Negare la realtà
5. Conchiglia vuota
6. Oroscopo di oggi
7. Fili di voce
8. Un giro a vuoto
9. Illuminismo
10. Objects in the mirror are closer than they appear
11. Ho paura di me
12. Il buio sotto i piedi