Davide Van De Sfroos – Pica

Davide Van De Sfroos - Pica

…Batti e attendi e batti, come il fabbro, come fanno le onde..

Sono passati circa tre anni da quando, entrando in un delizioso locale in riva al lago di Como, ho incontrato sul mio sentiero musicale Davide Van de Sfross, conosciuto da molti lombardi semplicemente come “Il Davide”.
Entrando nel bar ricordo di essere stato immediatamente rapito dal ritmo folkeggiante e da quella voce roca, che lo stereo stava regalando. Una volta chieste informazioni, ricordo di essermi precipitato a comprare “Akuaduulza” e di aver passato il viaggio di ritorno verso Genova, cercando di imparare il dialetto, con il quale il cantautore è solito esprimere la sua verve creativa.

Infatti, anche per questo ultimo delizioso disco “Pica!”, la lingua madre è proprio quella tremezzina, affiancata per brevi momenti da quella nazionale.

Come era accaduto per l’album precedente, Davide Bernasconi, anche in questa sua ultima sua fatica, sviluppa le classiche tematiche di vita vissuta attorno al lago, vero e proprio protagonista delle storie descritte dalle 15 tracks. Narrazioni e piccoli deliziosi racconti, che vivono attorno a personaggi crudi e sostanziali, molto vicini ad un realismo verghiano. Il lavoro, la fatica, il disagio, insieme alla musica, il viaggio e il sogno sono le tematiche care all’autore che riesce a trasformare la sua notevole capacità narrativa in storie bonsai, dalla struttura più vicina ai suoi romanzi che alla classica arte cantautoriale.

“Pica!” prosegue la traversata iniziata con “Brèva e Tivàn”, riuscendo a piccoli passi a conquistare la terra natia, scontrandosi con l’antico assioma “nemo profeta in patria”, trovando così, proprio negli ambienti familiari, la forza per emergere.
Forse ancora molti, al di fuori nell’alto nord, non sanno chi è “Il Davide”, ma vi basterà ascoltare il suo ultimo disco per capirlo e per farvi conquistare, sarà sufficiente prestare orecchio a “El puunt”, track introduttiva, che vi farà capire, che la parlata laghèe non è così ostica come qualcuno può pensare, e probabilmente riuscirà ad ammaliarvi con il suo dolce calore, innaffiato da un turbinante folk vestito da country western, tra violini, tee fer e rullanti.

Il disco riesce ad alternare ottime ritmiche easy listening a dolci ballate. I brani di più facile impatto sono resi nobili dall’uso di strumentazioni particolari come Cabala, eggs, Maracas, Cambalo, hang, che sviluppano toni inusuali e piacevoli, di supporto alle chitarre di Van de Sfross, capaci di dettare ritmi incalzati come in “Lo sciamano” e “ La terza onda”. Proprio quest’ultima, scelta come singolo, si può ascoltare direttamente dall’Official web site http://www.davidevandesfroos.com/pica.asp .

Il volo prosegue attraverso i territori reggae di “La grigna” e quelli hazzardiani di “La ballata di Cimino”, un’autentica country ballad deliziata da un ispirato Alessandro Zaini al banjo. I toni si quietano con la struggente “40 Pass” e con la ballata di “New Orleans”, la cui semplice struttura, dettata dalla batteria di Gianni Brunelli, sorprende per i precisi passaggi che Vignuzzi regala attraverso il pulito suono della chitarra resofonica, alternata sofisticamente alla Fender electric Mandolin.

Menzione a parte la merita “Il minatore di Frontale”, probabilmente il miglior brano dell’album.
Il titolo dell’LP prende spunto proprio da chorus della canzone, questa volta narrata in italiano. Storia di un minatore che in prima persona racconta la sua dura vita :” Non ho incontrato gente, ma solo fari accesi, non crescon girasoli qui dove il mondo è spento, son nato su a Frontale in alta Valtellina, son sceso da ragazzo in tasca alla montagna ed ho imparato i segni e i sogni della roccia, ci ho mescolato i miei …l’ho frantumata tutta.. ”. Una forte immagine della condizione operaia, che molto spesso ancora oggi è privata di una decorosa dignità umana.
L’intuizione geniale dell’autore è di certo stata quella di amalgamare le parole “combat folk”, con ritmi sincopati e ridondanti, capaci di ricordare la cadenza metodica del ferro sulla roccia. Il brano è poi impreziosito da una citazione musicologia che nel chorus rimanda a quegli antichi canti da lavoro, che nelle americhe diedero poi origine a gospel e spirituals.

Insomma siamo di fronte ad un disco molto piacevole, capace di conquistare sin dal primo ascolto, nonostante finisca per perdersi sulla chiusura, probabilmente per l’eccessiva durata. Un prodotto molto ben curato, anche nella sua accattivante digipack version e nel suo booklet interno, raffinato dalle traduzioni di Marco Palumbo, che rendono accessibile a tutti quel tremezzino che pian piano conquisterà altre “zone di confine”.