El cuento de la chica y la tequila “1st tale”, recensione

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Appena inizierete ad ascoltare il primo racconto dei El Cuento de la chica y la tequila, probabilmente avrete la sensazione di essere stati sbalzati in un luogo molto più lontano della loro natia Treviso. Un posto in cui il sapore genuino delle sonorità si allontana dalla tradizione italica, avvicinandosi in parte al mondo che vive all’ombra del sombrero. Un epitome di note sanate dall’ovvietà, che nascondono dieci curiosi ed insoliti racconti, registrati al Magister Recording Area e finalizzati da Greg Calbi.

1st Tale rievoca nel suo rock acustico veri sapori flamenco, scompigliati però da metodologia alternative, cantautoriale e pop, senza dimenticare sapori, bossanova, blues e samba. Atmosfere delicate, genuine e dirette, portatrici di un’efficacia evocativa che trova in Davide Artusato una reale arma sonora, capace di colpire e coinvolgere.

Il disco, racchiuso in una cover art a dire il vero non molto convincente sia per la leggibilità del font, sia per l’ipnotica ed invasiva scelta cromatica, è battezzato proprio dalla titletrack. 1st Tale ci proietta nelle lande desolate della penisola iberica, immersi in sensazioni spanish caravan, intonate dalla calda voce del frontman, che a tratti sembra ricordare il primo Bon Jovi.
Il piacevole chorus ci anticipa poi un perimetro di note easy listening, in una presa sonora ed armonica assestata tra Counting Crows e Dave Matthews Band. La buona attenzione alle basse note percorre poi la dolcezza espositiva di I’m just feeling like i’m falling in love, in cui l’amore è raccontato tra voce e pianoforte, sotto una delicata pioggia di note, costruite su di una genuinità compositiva che si fa minimalista in Dirty Diana.

Non mancano poi interessanti enclave sonore (El cuento del mar), né ispirevoli e convincenti ingredienti inusuali (Shower of flowers), tra samba e linee Pattoniane portatrici di post grunge. Molti infine sono i passaggi di interludio e molti i cambi di intensità, tra retrò e orecchiabilità, che ci portano ad una ispirazione Browning, esponenziata dal sapore ztigano e circense di Mama’s Freak, dominata da corde classiche per un’interessante confluenza di generi

Un disco che traspira sudore e sangue, definito da un’attenta qualità scrittoria che unita ad una qualità notevole di arrangiamenti e post produzione, offre agli appassionati un full lenght piacevole e per certi versi incantato, per la sua inusitata attitudine a trascinarci dentro i suoi racconti.