Elton John – Goodbye Yellow Brick Road (1973)

Continuiamo la nostra carrellata di Dischi da Isola Deserta con un grande album di Sir Elton John.

Gli anni 70 furono per lui indubbiamente una decade magica. Infatti, dopo aver esordito nel ‘69 con un disco dalle sonorità non immediate come “Empty sky”, pubblicò una serie di album indimenticabili che vanno dall’omonimo “Elton John” (con la mitica “Your song”) del 1970 fino a “Blue Moves” del 1976. In questa serie fantastica di ben 10 capolavori, spicca su tutti il suo masterpiece del 1973 intitolato “Goodbye yellow brick road”. Insieme al suo paroliere ed amico di sempre Bernie Taupin – che scrisse i testi in due settimane e mezzo – l’artista inglese diede alle stampe il suo primo Lp doppio con ben 17 pezzi (della maggior parte dei quali è autore) dallo stile piuttosto eterogeneo, ma tutti basati su melodie tanto coinvolgenti quanto commercialmente vincenti.

Certamente contiene alcune fra le hit più famose che Elton John si porterà dietro nei concerti, come una coperta di Linus, per tutta la carriera: la radiofonica title track, l’ipnotica “Bennie and the Jets”, la sognante “Candle in the wind” – tributo dedicato prima alla prematura scomparsa di Marilyn e – molti anni più tardi – a quella di Lady Diana – ma anche il rock da bullo di periferia “Saturday night’s all right for fighting”.

Tuttavia l’album contiene molte altre perle preziose di rara bellezza estetica.

Personalmente resto ancora estasiato, ad esempio, dalle note di brani come la ballata “
I’ve seen that movie too”, o dall’eleganza di “Sweet painted lady”, così come non riesco a non emozionarmi ascoltando l’accattivante uptempo di “Grey seal”, o la morbida finale “Harmony” (che “rischiò”, a ragione, di essere un singolo senza diventarlo mai). Canzoni queste, insieme alle altre non citate, che non si limitavano a fungere da cornice, ma contribuivano a formare un mosaico irripetibile.

Dopo questo disco e la seguente golden age sopra citata, l’estro del pianista pop più celebre d’oltre manica perderà purtroppo la sua verve migliore, per ritrovarla, in parte, solo dopo essersi disintossicato ed aver fatto outing – all’ inizio degli anni 90 – con altri buoni dischi come “The One” o gli ultimissimi degli anni 2000 (compreso quel “The diving board” da noi recensito nel 2013). Ma se volete riascoltare la musica che è passata alla storia, allora vi converrà ripercorrere quella strada dal pavé giallo che da più di quarant’anni continua a essere calpestata da milioni di persone in giro per il mondo, senza soluzione di continuità.

NB: Sono uscite recentemente due edizioni, deluxe e super deluxe di Goodbye Yellow Brick Road (con bonus disc live e cover dei pezzi più belli cantati da altri atristi), che mi permetto di consigliare, ancorché il prezzo non sia proprio da “crisi dei consumi”.