Epicrenel – The Crystal Throne recensione.

Cover

L’epic, che lo si chiami adventure o traditional o wicking o come si desidera, ha caratteristiche ineluttabili senza la quali non sarebbe il genere che è.

La qualità o meno di un prodotto di questo genere di musica sta solo nella capacità più o meno buona di mischiare gli elementi a disposizione.

Capacità che ai Epicrenel non manca.

Questo Chrystal throne è la loro prima prova sulla lunga distanza.

Tecnicamente, come buona parte dei gruppi del genere, ineccepibili.

Atmosfere ampie, epiche, cavalcate mastodontiche tra praterie sterminate, montagne sullo sfondo e Gandalf che supera inaspettatamente. Tutto perfetto, ma tutto decisamente dentro le righe. Dal classico intro dal risentito titolo The calling, per arrivare fino a metà del viaggio, ossia traccia numero sette.

In the dungeon, questo il titolo della cnzone, è probabilmente il brano meglio riuscito dove le potenzialità del gruppo meglio si esprimono trascendendo inequivocabilmente i limiti del genere per fare un piccolo passo in territorio prog. Ritmo più lento, cadenzato, ma idee molto più fresche e ottimamente realizzate. L’incedere, la struttura e l’andamento del pezzo non aggiungono nulla di nuovo sotto il sole, ma è una canzone che spicca per la miriade di idee di cui è infarcita. Sinfonicità, accelerazioni, decelerazioni, una voce non sempre su cime inarrivabili e un break sul finale non scontato ne fanno un brano certo degno di nota. Si torna su terreni più conosciuti e battuti con la successiva strumentale Skyride, che non tradisce minimamente le aspettative.

Cavalcata con atteso inseguimento di soli chitarra/tastiera da manuale. Da manuale anche l’esecuzione, assolutamente ineccepibile. Segue la stessa falsariga, ma con un testo che comunque rispetta i dettami del genere, la successiva Defenderso of the crown. Rincorsa iniziale, interludio epico e ritornello iper melodico. Formula completata. Nello specifico va segnalata una buona prova della voce di Christian Palin che ottimamente si destreggia su circuiti arzigogolati e non lineari. Il resto della band non stona attorno alla sua ugola, pur non superando mai i confini. Sono le conclusive Fantom’s grove e Conquering the throne a risollevare il disco e riportarlo su territori più interessanti, meno rigidi e ancora una volta più progressive.

Belle ritmiche mai scontate, ottime prove strumentali e voce in forma per canzoni che certo lasceranno il segno. Nell’insieme un disco più che onesto e dignitoso. Unica pecca forse è data dal genere di appartenenza che rischia di tarpare le ali a musicisti sicuramente capaci e pieni di idee.

Comunque un disco melodico e godibile.