Ernest Ranglin – In Search of the Lost Riddim

Copertina

Ancora un illustre giamaicano che ricerca le sue radici in Africa. Si tratta di Ernest Ranglin, in qualche modo un pezzo di storia della musica della sua isola. Jazzista, chitarrista sulla breccia sin dagli anni ’50, fu uno dei protagonisti dell’evoluzione della moderna musica giamaicana dal mento allo ska, al rocksteady fino al reggae. Maestro di chitarra di Bob Marley, tra le sue numerosissime collaborazioni vanno almeno citate quelle con Monty Alexander, pianista giamaicano dall’incredibile talento.

In Search of the Lost Riddim esce dopo due tra i suoi dischi giamaicani più belli e intensi, Below the Baseline (Islnad, 1996), dove Ranglin reinterpreta successi roots reggae in chiave jazz assieme allo stesso Monty Alexander, e Memories of Barber Mack (Island, 1997), una raccolta di vecchi pezzi mento e ska. Lost Riddim è il ritmo perduto, quella della terra d’Africa, al quale Ranglin si rivolgerà anche nel disco successivo, lo splendido Modern Answers to Old Problems (Telarc, 2000), nel quale esplorerà i territori dell’Afrobeat assieme ai sassofonisti Denis Baptiste e Courtney Pine, affiancato da un gruppo di musicisti nigeriani guidato dall’inarrivabile batterista Tony Allen.

Lost Riddim è la sua prima esperienza africana, durante la quale l’anziano chitarrista, accompagnato dal bassista Ira Coleman e dal percussionista Dion Parson, ha visitato il Senegal e ha vissuto assieme ai musicisti locali seguendone gli usi e le tradizioni. E che musicisti! Stiamo parlando addirittura di Baaba Maal e dello stuolo di artisti straordinari che lo accompagnano consuetamente.

Baaba Maal è una figura carismatica della musica senegalese. Di origina Tukulor, una etnia vicina ai Peul, i pastori del Sahel, Baaba è cantante e autore straordinariamente espressivo, dopo Youssou N’Dour la maggiore star della scena musicale senegalese. Riguardo al suo rapporto con la Giamaica, fu nel 1998, lo stesso anno in cui è uscito Lost Riddim, che Maal registrò Nomad Soul (Palm, 1998), un disco splendido in cui duetta in ben due brani con Luciano, uno dei maggiori interpreti del roots reggae contemporaneo.

Maal è accompagnato dal suo formidabile gruppo tradizionale, rappresentato dai tre fratelli Bada, Bahkane e Babacar Seck ai sabar, tamburi simili a congas suonati con una mano e una bacchetta, e al djembe, il principale tamburo solista mandengue, Assane Diop al tama, o talking drum, Malik Aw al calabash, una mezza zucca capovolta suonata con i palmi e le bacchette, Adama Cissoko al balafon, Barou Sall all’hoddu, un liuto senegalese, il compianto virtuoso Kawding Cissoko alla kora, il fedele Mansour Seck alla chitarra e voce e la giovane debuttante Cisse Diamba Kanoute alla voce.

Quando ascoltai la prima volta il disco rimasi impressionato, prima di tutto dalla perfezione con cui la chitarra di Ranglin riesce a fondersi con la maestosa orchestra senegalese, evidente frutto della sua sensibilità e di una curiosità degna di un fanciullo. L’armonia è dimostrata e rafforzata dal fatto che i brani sono firmati non solo da Ranglin e Coleman, ma anche dallo stesso Baaba Maal, da Mansour Seck e da Kawding Cissoko.

La chitarra di Ranglin è sempre al suo posto, negli assoli raffinati o negli accompagnamenti, quando introduce un riff in levare o anche quando viene bruscamente spezzata dai potenti contrappunti dei sabar, che stravolgono la ritmica donandole furiose accelerazioni. Tutti i musicisti sono protagonisti ma nessuno soverchia il resto del gruppo, neanche le voci di Maal, Mansour Seck o la giovane Cisse Kanoute.

I brani sono tutti splendidi, anche se io ho una predilizione istintiva per Ala Walee, un traditional senegalese in cui l’attacco dei sabar e la voce di Cisse mi fanno emozionare, e per Anna, una composizione di Kawding Cissoko in cui emerge il suo stile inconfondibile, lirico e moderno, esaltato, per chi fosse interessato, nel suo commovente lavoro solista intitolato Kora Revolution (Palm, 1999), con la stessa band di Lost Riddim ma senza Ranglin.

In Search of the Lost Riddim è un disco senza tempo, uno degli esperimenti di ibridazione musicale meglio riusciti. Anche la produzione – l’ultima di Ranglin per la Palm-Island di Blackwell prima di passare alla Telarc – è perfetta, dalla copertina al libretto informativo, per non parlare della cura con cui è stata effettuata la registrazione, scegliendo una stanza grande per registrare la sezione ritmica di basso e percussioni, in modo da evitare echi fastidiosi, e una più piccola per gli strumenti dal suono più delicato e per le voci. Davvero non si può desiderare di meglio.

Brani:

1. D’accord Dakar
2. Up on the Downside
3. Minuit
4. Ala Walee
5. Cherie
6. Haayo
7. Anna
8. Nuh True
9. Wouly
10. Pili Pili
11. Midagny