ExKgb “False hope corporation”, recensione

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Dopo qualche tempo eccoci nuovamente di fronte al mondo folle degli ExKGB, powerfoolishtrio alle prese con la loro ultima fatica False Coop Corporation. L’ album, che sembra definire il proprio inizio ancor prima della sue note, vive attraverso l’ approccio iconico-estetico firmato da Ivan Hurricane (qualcuno là fuori conosce Frigidaire?) che, con il sul tratto fumettistico trashy, convoglia ideali criptopunkettoni in una lisergica visione blasfemica di un mondo racchiuso tra le ali di questo digipack opaco, (animè) privo di booklet, ma esteticamente convincente.

Tra le note della fatica seconda troviamo (come da attesa) “impegno e denuncia sociale” al servizio del credo analogico promosso delle sinapsi creative di Prosdocimi Records e Ma.Ra. Cash Records, grazie alle quali il disco appare deliziosamente lontano dal fagocitante mondo I tunes, arrivando a proporre due tracce uniche (side A, side B), al cui interno si nascondono le singole canzoni, compendio fisiologico di un naturale proseguimento di Putin , platter d’esordio.

Un curioso gioco avanti punk supervisionato da Ronan Chris Murphy e cadenzato da una stranita linea ritmica, da cui esce una tipizzazione poliedrica della vocalità e l’inusuale Chapman Stick.

Un vinile, pardon (!)… un CD in cui il suono è definito attraverso intrecci di sampler e vecchi calieri di rare le registrazioni su nastro ATR master tape da 2” e ¼”, al servizio di un’opera seconda che si fa largo con i suoi interludi di quarta e quinta, tra rock venato di armonie vintage (This World ) ed intuizioni imprò ( The Defender ), pronte a rappresentante le proprie partiture come un indomito corpo unico, in cui non sono ammessi cali attentivi. Suoni inquietanti e lontani, sampler e rumori scenici, sono solo alcune delle spezie sonore dell’album, le cui note vivono momenti di oscurità ed aperture funky, attraversando pattern minimai e linee spezzate, pronte a trovare il giusto sentiero con la scompostezza di Blindness or else .
Un insieme di azioni rock cervellotiche che, pu
r non convincendo appieno, mostrano ancora una volta una vitale ed elitaria esigenza espressiva, viva arte di in disco dal difficile impatto sonoro che, come dimostrano tracce come Lies e Hold your breath, necessità di uno sguardo attento e al contempo aperto, pronto a spaziare verso sonorità serjetankiane ( Who cares) e spiriti dai rimandi policromatici ( False hope corporation ).

Un disco, dunque, che pur vestendo gli animi incarogniti di un mondo perso, appare rivitalizzato in maniera critica dall’arte del tapping bilaterale.