Federico Sirianni

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Immaginate di poter fare il giro del mondo in 49 minuti!

Impossibile?

Beh… dal punto di vista pragmatico, neppure i futuristici jet raccontati da Dan Brown nel suo “Angeli e demoni”, riuscirebbero a tanto.

L’impresa ha successo invece con “Dal basso dei cieli” di Federico “the cook” Sirianni, che con il suo cantautorato, ci sbalestra dal Messico alla Spagna Andalusa, passando per i Balcani e per Oriente, senza però dimenticare un saluto alla vecchia America e al suo Old West. A conti fatti, l’ascolto di questo secondo full length dell’autore genovese, assomiglia ad un favolistico vagabondare, presumibilmente maturato dal vissuto di Federico, accasatosi prima a Roma e Milano per poi ritrovarsi a scrivere i suoi ricercati testi a Sofia, Parigi, Yalta ed ora nella multietnica Torino. La nuova fatica del “Cuoco”, arriva dopo ben quattro anni dall’esordio di “Onde Clandestine”. Oggi, come allora, le contaminazioni etniche appaiono come i divergenti rami di un unico arbusto nato da radici Blues.

L’album, prodotto dallo stesso Sirianni e Mario Congiu, è strutturato come una sorta di opera filmico-concertistica, sezionata in primo e secondo tempo, seguiti da un breve bis di commiato. Overture è dedicata alla impolverata carovana del vecchio West, con la sua incantevole melodia di ricercata immediatezza; un suono che si colloca in maniera naturale tra i western di vecchia scuola e il Sam Raimi di “Pronti a Morire”. Il breve intro strumentale da poi il via alle storie narrate dall’autore, come ad esempio “Camionale”, che sembra uscita da ”Leggende metropolitane in concerto”, proprio per il suo sapore suburban-noir, che ritorna nella scolorita e deliziosa “Nel mio quartiere”. Il malinconico verismo fatto di felliniani personaggi, lascia il posto al Messico di “La rosa rossa”, impreziosita dal sax contralto e soprano di Edmondo Romano, che profonde la percezione di un mondo lontano dalle nostre città occidentali. Ma non c’è tempo di fermarsi, il viaggio prosegue verso Sofia, dove “Marteniza” è stata registrata praticamente dal vivo, presso il reparto di Neurologia dell’ospedale Pirogoff. Il primo tempo si chiude la zebdadiana “Monsieur Dupont”, che ci richiama nelle banlieu francesi, in cui “A parte le police ici la vie c’est ne pas mal”. Le ritmiche orientaleggianti si mescolano a shaker e programmazioni capaci di confezionare uno dei migliori brani del disco, assieme alla seguente “Melodie per occhi stanchi”, lullaby malinconica e suadente, raccontata tra le nevi natalizie di una città tentacolare, che raffredda gli animi e le sensazioni, nell’indifferenza di un mondo che vive di solitudine, proprio come i Baustelle raccontano nel loro “Corvo Joe”. La crociera prosegue con il bluesaccio “Dal basso dei cieli”, titletrack che anticipa “Quando l’amore viene”, che sembra scritta a quattro mani con Vinicio Capossela.

Se l’amarcord Felliniano sembra venare “Estranei”, la vera perla del secondo tempo è la coinvolgente “Liberaci dal mare”, dedicata alla Superba Genova, città comunque rimasta nel cuore e nell’anima di Federico, che nonostante il suo essere apolide, non ha dimenticato la gente di mare, con i suoi balconi, il suo mare e i suoi vicoli. Nello show proposto dal cantautore non può mancare il bis, dedicato alla leggenda serba sull’origine della Rakia, bevanda alcolica che viene poeticamente narrata in un sound in levare, ingemmato da enclave di saporosità che giunge a noi direttamente dal vicino est. Il cerchio si chiude poi con il reprise dell’introduttiva “Povre y sangre”, che finalizza un prodotto vario e completo, che con la sua sincera e semplice visione del mondo, permette di dare uno sguardo al mondo, attraverso note e parole mai banali.