Fitzcarraldo Records Lo bianco & O.I.D.

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Nonostante il sito web www.fitzcarraldorecords.com, sia ancora under construction, l’etichetta palermitana è da qualche tempo attiva e solida sul mercato, grazie al combo strutturale definito attorno a Francesco Guaiana, Luca Lo Bianco, Lorenzo Quattrocchi e Domenico Argento

Il nome di questa nuova casa discografica deriva dall’omonimo film di Werner Herzog, il cui protagonista ha il sogno di costruire un teatro dell’opera in Amazzonia.

Similmente a Sweeny Fitzgerald, l’idea cardine della label indipendente è proprio quella mossa dal “chi sogna può muovere le montagne”. Il progetto infatti nasconde l’ambizione, più che lecita, di uscire dai stereotipanti canali musicali, per dare forma e spazio a diversificate tipologie di linguaggio artistico, attraverso una cura estetico- melodiosa fuori dal circuito mainstream.

Ne è interessante esempio proprio il progetto relativo alle cover art, che, inseguendo la voglia di stupire e diversificarsi, fornisce un esclusivo packaging dei cd, realizzato con carte e cartoncini di pregio, di pura cellulosa ecologia E.C.F. assemblati senza uso di colle, impreziosito da una particolare metodologia di chiusura ad incastro, che rende il prodotto esteticamente gradevole.

Ma non ci si ferma ad un puro e vacuo estetismo, infatti di buona fattura risultano essere anche i contenuti artistici dei primi due full lenght appartenenti alla Fitzcarraldo Records.

Luca Lo Bianco
Ear Catchet

cover

La cover art di “Ear Catchet“ è dominata da un’immagine che apparentemente può sembrare una chiocciola od una spirale, ma che in verità, come spiega l’autore stesso, altro non è che un importante elemento del nostro orecchio interno, chiamato coclea. Lo Bianco spiega che ha scelto questa immagine, proprio perché fa riflettere sulla capacità di ascoltare… e sul fatto che la musica, per essere realmente compresa debba percorrere una lunga e tortuosa strada.

L’interminabile sentiero ha inizio con un mini booklet interno, che ospita la filosofica linea di Tupac Amaru, la quale da il via a “Gilr with a red bike”, prima traccia dell’album. Sin dalle prime battute, Lo Bianco sembra voler rinverdire ancora una volta la concettualità che si ricrea attorno alla difficoltà di percepire e capire gli intenti. Il brano definisce d’impatto una serie di fiati free jazz, posati su di una più ragionata e organizzata base ritmica che si chiude attorno al un loop ridondante proprio come a voler scegliere la circolare musicalità di una bicicletta in movimento.

La creatività poi si dipana attraverso “Overnight” in cui il sax di Gaspare Palazzolo, nonostante offra passaggi a tratti scontati, riesce a definire un tratto ambient, soprattutto grazie a Lo Bianco, capace di circoscrivere il leit motiv fondante, per un brano che si riscopre ottima colonna sonora di una vita sussurrata. Nel suo complesso il disco ha il merito di poter fungere da nobile sfondo in alternativa ad un attento e razionale ascolto, riuscendo a fornire un buon groove, come dimostrano brani come “Tear drop” e “Language”. Il primo brano, realizzato dalla compartecipazione di Del Naja, Marshall, Vowles e Fraser….ovvero i Massive Attack…ci immerge nel pacifico mondo rurale, tra colline piovose e fresco primaverile; con il suo passo posato offre una musicalità silenziosa e di nobile intento. “Language”, cover di Suzanne Vega, invece, pur seguendo la scia della delicatezza e della soavità compositiva, definisce attraverso i suoi compositi passaggi quel senso del viaggio accennato dall’orientaleggiante e balcanica “Oop” e da “Bar code” che portano con sé l’idea del movimento.

Un cenno merita anche la bella “They Are Still Watching Us”, dedicata alle morti bianche, capace di definire un buon collage sonoro, attraverso un ritmo fondamentalmente bossanoviano. La sonorità proposta sembra riflettere sul senso di angosciante ripetitività del lavoro, tra acuti di moto espressi dal clarinetto di Palazzolo e le chitarre di Guaiana e Lo Bianco, che si ritrovano a districare le metaforiche criticità, in contrasto con l’immagine di quietezza a cui il brano anela.

Un disco quindi che porta con sé tematiche che non necessitano di parole per essere raccontate, ma hanno il dovere di essere ascoltate ed interpretate come si è soliti fare con l’arte della poesia classica.

1 girl with a red bike
2 overnight
3 they are still watching us
4 tear drop
5 oop
6 language
7 zulu dream
8 barcode
9 afternoon/ a kind of.

Orchestra In-stabile Dis/accordo
Live at Mikalsa vol. 1”,

cover

La seconda proposta della label palermitana è rappresentata da un organico orchestrale, in senso modernista del termine, composto da 15 elementi 15, che con il loro live, offrono una deliziosa opera prima, fondata su estemporanee forme di improvvisazione che attraverso una sentita pratica orchestrale riesce a incuriosire, sorprendere e coinvolgere una platea che per ovvietà di cose deve essere pronta a nuove avventure, oppure essere avvezza al mondo del free jazz.

l’ORCHESTRA IN-STABILE DIS/ACCORDO, dopo aver accolto tra le sue file circa cinquanta musicisti, e dopo aver raccolto esperienza e idee, arriva finalmente al primo vero LP registrato al Mikalsa Bar di Palermo, fornendo così una tracklist di nove brani condotti da diversi musicisti, in maniera tale da riuscire a definire un lavoro corale che ha superato brillantemente i rischi di tedio e ripetizioni soniche, grazie anche a strutture compositive attente e ad un uso coraggioso delle note.

L’opener è definita dalla conduction di Guaiana, che dà impulso ad un interessante ritmo funkeggiante, dominato da fiati climatici, una batteria forse troppo insistente e sound orecchiabile, prolungato sulle sei corde distorte capaci di viaggiare sul trait d’union della partitura. Mentre gli applausi scandiscono le pause, in “Milza Party”, il flauto di Marilena Sangiorgi si mescola con un accenno noise di introduzione, il ritmo evolve e coinvolge il pubblico del Mikalsa, che con il clapping hand, introduce il ridondante sound dell’ensamble. Tra i brani più convincenti ritroviamo “It’s a jungle sometimes”, piccolo capolavoro underground, in cui note si rincorrono come personaggi animati in un cortometraggio di Emanuele Luzzati. La medesima verve poetica espressa dall’artista genovese, sembra ritrovarsi nella composizione dell O.I.D., abbracciando sensazioni di diversificata natura geografica, tramite uno scheletro sonoro infarcito da briciole di sonorità imprò, in una sorta di dialogo aperto e rasserenante tra i personaggi della narrazione musicale.

Un disco che mescola abilmente dolcezza (“Sunrise in Japan”) e ruvidità sonica (“Melodic segnature on Mikalsa DIS/accordo”) e che non dimentica l’aspetto teatrale della composizione come accade in “Il Vitello prodigo”, in cui la voce di Davide Enia, armato di forte cocina della trinacria, è immersa in un’allegra e spensierata aria di festa, riuscendo a fornire un’apprezzabile esposizione teatralizzata da suoni scomposti e narrativi

Il disco si chiede con una traccia video, “Never loop”, geniale clip di Marta Tagliavia, che lascia chiudere i 49 minuti di musica con il sorriso dei personaggi che passano celermente da quel divano rosso immortalato sul booklet.

tracklist

1. Fiati sul collo
2. Milza Party
3. It’s a jungle sometimes
4. Il Vitello prodigo
5. Treo
6. Sunrise in Japan
7. Melodic signature on Mikalsa DIS/accordo
8. Sandro
9. Never Loop – (video di Marta Tagliavia)