Flat Bit “Imperfette condizioni”, recensione

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Mi sono bastati i primi 18 secondi per decidere se recensire o meno il disco.

Ancora Alka Record Label, ancora un buon prodotto emergente. Nulla di germinale nè assoluto, ma un racconto in sei tracce dirette e fondamentalmente rock.
Nati nel 2010 dalla mente pensante di Emanuele Vincenzi, i Flat Bit si offrono al pubblico impolverato dell’underground un disco vivace che, pur vestito da extended played, lascia il sapore di qualcosa di più strutturato. Posto tra il piano obliquo dell’alternative, i brani giocano con rimandi citazionistici (sin dalla scelta del nome), sguardi d’n’b, reminiscenze anni’90 e electropop melodico.

Probabilmente spinti dalla piacevole ristrutturazione di Acida dei furono Prozac+, la band arriva oggi ai margini di Imperfette condizioni, seguito (forse) naturale di quelle “scale di grigio” ormai pennellate di cromatismi, paradossi narrativi e un’ottima attenzione alle apparenze, proprio come dimostra la buona (ma non originale) opera di cover art.

Il riff iniziale, che racconta l’impronta rock, mi ha riportato alla mente alcuni passaggi sonori che Black keys hanno sul mio umore. L’approccio di Standard rappresenta, infatti, un riuscito camminamento verso il mood iniziale, giungendo ad influire sulle sensazioni, fino ad arrivare all’apparizione della voce pulita ed accogliente del front man.

Di certo non ci si annoia, anche grazie all’inattesa e diretta semplicità di una critica sociale, pronta a schiudere un’immediatezza espressiva in grado di entrare con il proprio chorus nella testa dell’astante, esattamente come confermano le sensazioni di Tutti i giorni sorridente e l’ottimo mood di 2000 mode , in cui (forse) in maniera ammiccante, la band si offre con un diverso abito sonoro. Un sound narrato in barre tipiche del rap, pronto ad orientarsi verso un giovanilistico target, mostrando un’inedita visuale della conformazione.

2000 sono le mode che abbiamo da seguire dobbiamo essere all’altezza delle aspettative sei tu che emergerai o ti farai inghiottire sei parte di un sistema che non lascia alternative.

Se poi con Eroi ci si inoltra in giochi space vicini agli anni’90, con il climax strutturale di Senza teorie ci si dispone, infine, verso la chiusura di un disco che sembra voler prendere le distanze dall’usuale, pur abbracciandosi ad esso, apparendo però in grado di attrarre nuove leve mediante un songwriting diretto e raziocinante.