Francesco Forges “Micro Strayhorn”, recensione

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Chi fu Billy Strayhorn? Forse i profani non sanno, ma chi ha amato Duke Ellington sa il valore artistico dello straordinario talento musicale del pianista, compositore e arrangiatore statunitense. Oggi Musica Cruda rinverdisce il mistero di Strayhorn grazie ad un album ricco di sfumature jazz, voluto da un enseble di musicisti – ricercatori intenti nel restituire al presente un mondo ancora pronto a svelare ritagli di misteriche evoluzioni artistiche.

Un mondo musicale posto ai confini dell’instabilità emotiva e dell’imprevedibilità sonora, immessa tra melanconia osservativa e non celebrativa. Dieci tracce elitarie, raffinate e disomogenee che, nella loro straordinaria magia evocativa, ridefiniscono con acutezza le note monocromatiche dell’introduttiva Strange Feeling.

A raccontare un nuovo sguardo sull’arte del musicista statunitense è Francesco Forges coadiuvato nel percorrere l’ardito sentiero da Maurizio Nobili alla voce e piano, Emiliano Turazzi al clarinetto, Michele Benvenuti al trombone e Lorenzo Serafin al contrabbasso.

La jam delicata e raffinata vira e mescola note blues e quite jazz assieme a ritmici e giocosi passaggi (My little brown book), in cui il ruolo estetico della voce offre spesso uno sguardo ad una realtà ormai nascosta. Un mondo che si erge su torri lontane con Emiliano Turazzi, anima fulcro di Johnny Come Lately, in cui si percepiscono spezie free ben contenute da pareti sonore, in grado di accogliere e al contempo respingere, proprio come accade nell’ottima interpretazione di A flower is a lovesome thing. Infatti l’approccio sonoro pseudo lounge da un lato avvicina per il suo impatto easy, dall’altro rifugge orpelli superflui per modularsi su di un silente approccio minimale.

Micro Strayhorn continua poi a raccontarsi attraverso le sensazioni attentive e delicate di Love came, in netto contrasto con i giochi vocali di Multicolored blue, divertissement allineato a reminiscenze passatiste, in cui la voce, intesa come strumento reale, conduce l’ascoltatore verso la visione notturna di una Parigi nascosta nelle ombre dei suoi Jazz club.

A chiudere il disco, deliziosamente imprigionato in un tempo che non è più ma non è ancora, è l’unico inedito del full lenght. Je suis aussi pauvre qu’un rat d’eglise composto con attenta raffinatezza da Forges, qui piacevolmente in linea con i tracciati proposti. Una riuscita composizione fluida e osservativa, in grado di dare risalto a movimenti sinuosi e liberi.

Un disco, pertanto, che dovrebbe vivere solo su vinile, perché solo il calore dei solchi può davvero conferire anima alle straordinarie partiture scelte da Forges.