Gian Luca Mondo”Malamore”, recensione

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Ironico e surreale preambolo

Appena mi sono visto arrivare sulla scrivania Malamore l’ho allontanato come uno scarafaggio inatteso. Poi l’ho ripreso, aperto e analizzato come si fa con un vino datato. Ho immediatamente scritto a Luca Barachetti della Macramè Trame Comunicativa per chiedere lumi sull’orrenda ed imbarazzante copertina del disco.

Luca mi ha poi suggerito di leggere il comunicato stampa, e così… mi sono calmato.

(In merito) riporto integralmente la parte inerente a questo curioso e surreale preambolo:

È punk anche la copertina a bassa qualità d’immagine, dove le figure rappresentate sono contornate da una luce fra il biancastro e l’azzurro. Un bagliore acido a bassa risoluzione che coincide con l’abrasiva essenzialità degli arrangiamenti (solo piano, chitarre acustiche ed elettriche urticanti, qualche grezza percussione) e l’intenzione da “buona la prima” delle registrazioni – mentre nel retrocopertina un’immagine “urlante” di Kafka Mondo (l’incredibile gatto Canadian Sphynx di Gian Luca) testimonia l’essenza primigenia di ciascuno dei brani di “Malamore”.

Ora tutto torna, mi sono detto. Ecco le ragioni di questa scelta coraggiosa.

Un unico dubbio rimane: quanti, non leggendo i retroscena, saranno allontanati dal disco a causa della sua cover art?

L’album

Lasciando indietro questo (folle e scomodo) quesito, andiamo al nocciolo della questione sonora. L’album, licenziato da Contro Records, si apre con un insolito incipit dai richiami alpini, in cui lo sdoppiamento della vocalità apre all’impostazione cantautorale, in cui il rappresentare idealmente lo spoken word ci porta verso un riuscito incrocio tra le nuove vie e gli abili narratori della scuola genovese. Infatti, sin dal primo brano (Malamore sta con te), ci si ritrova sui sentieri battuti da Fabrizio De Andrè ed Ivano Fossati, qui deformati da un’impostazione sonora che, superando le ridondanze narrative, vive sui minimalismi della sezione ritmica e sulle distorsioni chitarristiche.

Il disco si va poi a normalizzare con il (folk’n’)blues di La canzone del Baio, dialogo tra sei corde, in cui si rincorrono sensazioni rock, nascoste dietro a perimetri onomatopeici abili nell’unirsi alle sottigliezze curiose e piacevoli di Van Gogh blues. Proprio dalle inattese percezioni dilatate del brano, ci si ritrova a ragionare su enclave sonore coraggiose, che raccontano di un abile cantore da ascoltare con lo sguardo di chi vuole abbandonare la propria realtà, per inoltrarsi verso i racconti narrati ad alta voce.

Il mondo di Gianluca attraversa poi le più classiche e sporche note blu di Blues del doppiopetto e la dolcezza jazzata di Soltanto per pazzi , ottima sincrasi tra sensazioni perdute e distorsioni ardite, che rendono il brano tra i più interessanti del nuovo ed istintivo full lenght, proprio come accade con Anticanzone , divertissement caposelliano, i cui ritmi andanti ricalcano il Renoir di De Gregori.

A completare le buoni vibrazioni di Malamore sono poi il ritorno fossatiano di Ringraziamento e Lettera cattiva , gioco stilistico che con delicatezza e giuste atmosfere, porta alla mente nuovi cantori come Enrico Lisei.

Pertanto lasciate dietro di voi il probabile fastidio estetico della corver art e aprite il vostro tempo ad un cantore di professione.