Giardini di Mirò – Fuoco recensione.

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Sono tornati, dopo due anni di silenzio discografico sono tornati!

Da fan della prima ora, non posso che essere contento di questo nuovo tassello della discografia dei Giardini di Mirò, band emiliana che, come si può leggere sul wikipedia, appartiene alla scena rock italiana indipendente da ormai quasi quattordici anni. Sembra ieri quando andai per la prima volta a recensire un loro incredibile live genovese, ma temo che siano passati almeno nove anni. Questo lasso di tempo ha portato in me qualche acciacco in più, e all’ensamble math-post una salutare e portentosa maturità compositiva. “Fuoco”, rispetto ai tre dischi marchiati Homesleep, sembra rappresentare un diverso e intuitivo espediente sonico, imperniato su sviluppi filmici, similmente a quanto i Ronin hanno prodotto con i loro ultimi full-leght. Naturalmente il sound delle due felici realtà nostrane risultano lontani e inversamente proporzionali agli intenti compositivi.

I brani, che nascono attorno a questo disco strumentale, non sono altro che una caratterizzante sonorizzazione di un film muto del 1915, diretto da Giovanni Pastrone e diviso in tre capitoli: “La Favilla”, “La Vampa” e “La Cenere”, che danno in maniera cronologica i titoli alle tracce.

In “Fuoco” ritroviamo intelaiature jazz, appoggiate a palafitte post ed ambient attraverso le tre lunghe Suite, capaci di sviluppare tematiche sonore di ampio respiro.

“La Favilla 1” che da inizio alla danze, rappresenta una breve introduzione, molto vicino a sonorità space, che ha al contempo l’obiettivo di destabilizzare e di portare verso le lande desolate introdotte dai riverberi della parte II. Un preciso arpeggio si fonde ad un diluito flauto, delicato e ben sviluppato su arcate pinkflydiane, senza però l’ecletticità dei maestri Londinesi, ma con sviluppi che viaggiano tra il classicismo impersonificato dal violino e dall’alternative delle percussioni, sino ad arrivare ad una apertura ariosa che nulla ha da invidiare ai GSYBE.

I tempi e le tematiche proposte sembrano volersi assestare con la suite “La vampa”, attorno a nuvolistiche ed immaginifiche figure, da cui emergono partiture di leggera e liberatoria nudità.
L’utilizzo della voce porta con se percezioni nord europee, in cui accordi chiusi e stretti passaggi portano verso una più ragionata “Joie de vivre”.

Non mancano poi sensazioni perse e melanconie ardite, che fisarmonica e pennate verso il basso definiscono in maniera più cupa e preoccupata. Sarà poi il vento a spezzare il ritmo, innalzandolo verso l’anelato cammino.

Il fill rouge delle prime suite si chiude con le intuizioni musicali da “Dio astronauta”, vissuto su strutture maggiormente mediterranee e meno nordiche, per un disco che come in una sorta di Sindrome di Stendhal ci trascina con se dentro il mondo dipinto dalle note che, nonostante un approccio musicale anomalo, può piacere, può annoiare, può sorprendere, può sconvolgere, può turbare, può scuotere…ma qui il fattore soggettivo entra in un territorio non più adeguato a quella che spero apparirà come un’ equanime recensione.

Tracklist

01. La favilla 1
02. La favilla 2
03. La favilla 3
04. La favilla 4
05. La favilla 5
06. La favilla 6
07. La favilla 7
08. La vampa 1
09. La vampa 2
10. La vampa 3
11. La cenere 1
12 .La cenere 2

Tour

09/10 Cagliari – Teatro civico
24/10 Padova – Unwound
05/11 Torino – Hiroshima
14/11 Perugia – Urban
20/11 Locomotiv – Bologna
26/11 Milano – Fondazione Pomodoro
11/12 Cesena – Officina 49
12/12 Zion – Conegliano
09/01 Roma – Circolo degli Artisti
16/01 Firenze – Flog