Gino Paoli – Storie. recensione

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Prendete un po’ d’intimità, un po’ di sentimentalismo puro, delle storie raccontate da un anziano saggio e avrete un disco che saprà toccare qualsiasi corda abbiate.

Gino Paoli è il maestro della canzone leggera italiana, ma è inutile dirlo. Grandi successi come “Il Cielo In Una Stanza” o “Senza Fine” è impossibile non ricordarli, poiché fanno parte di un patrimonio storico di cui possiamo certamente andare orgogliosi. Col passare degli anni, le sue canzoni non sono più diventati grandi successi ( ad eccezione di qualcuna ), ma il tocco del grande cantautore, quello che osserva e che ascolta con attenzione le proprie emozioni, non si andò sfumando. Infatti raggiunse il suo “picco” massimo con album quali “L’Ufficio Delle Cose Perdute” o “Matto Come Un Gatto” fino a giungere ad oggi, in cui Gino Paoli sembra sempre più intenzionato a non voler abbandonare le scene, ma soprattutto a voler far vedere al mondo che è ancora possibile, di questi tempi, scrivere pezzi semplici, ma intrisi di una grande bellezza.

“Storie” è l’ultimo lavoro ideato al fine di raccontare, come dice il titolo, dei racconti, alternandoli a delle riflessioni sull’amore e sulla condizione matrimoniale tra dediche e filosofie. L’autore ammette che il tutto è stato creato esclusivamente in base a qualcosa che, in passato, non aveva mai avuto il coraggio di raccontare, ma che solo ora, con l’occhio di una persona matura, ha la possibilità di condividere con il suo pubblico tra atmosfere jazz e qualche salto nel passato. L’intero album, infatti, è intriso di un alone di magia e racconti che nascondono la bellezza delle favole per bambini e un fascino, però, per il grottesco e la modernità, in cui, comunque, è sempre possibile raccogliere una morale.

Si comincia con la figura solitaria de “Il Marinaio”( non a caso per Paoli l’acqua è una sorta di punto di riferimento ovunque vada ), il quale è l’unico con cui il mare può parlare e il solo che può tornare a casa sano e salvo con l’uso di una stella ( molto vicino all’immagine dell’ “Uomo Che Vendeva Domande” ). Dall’aspetto descrittivo si giunge a due storielle vere e proprie che parlano di bambini e del fantastico mondo incantato che solo l’infanzia sa creare: è il caso de “Il Pettirosso” ( una bambina e un bambino che s’innamorano;), “Il Buco” ( un bambino che vuole a tutti i costi tornare nel mondo fantastico che aveva visto quand’era piccolo; da notare l’incantevole motivo principale ) e “La Paura” ( la storia dell’uomo nero, accostabile a delle figure moderne non tanto dissimili ). Da questo si passa a storie di vita matrimoniale ( La Signora E Mauri ), alla quotidianità ( Signora Provvidenza ), al noir delle strade ( La Falena ) fino alla frenesia di un incontro comune ( Zanzibar ). Vicino a queste ( quasi ) filastrocche ci sono riflessioni sulla figura dell’amore: si parte dal singolo “Il Nome” che filosofeggia sulla figura di quale altro vocabolo si possa usare per chiamare un sentimento che, altrimenti, andrebbe sciupato all’interno della convenzione; alla fine si cede alla seduzione de “La Chiave”, la quale dimostra che l’amore non va capito per essere un sentimento chiaro; infine ecco il giungere de “Due Vite”, brano toccante che mette in mostra la consapevolezza che una sola esistenza basta per accorgersi di aver scelto la compagna giusta.

Il cd è prevalentemente acustico con vari accenni di strumenti a fiato e a corde che rendono alla perfezione l’aspetto favolistico che il cd voleva suscitare. Si alterna tra ritmiche anche jazz che, in non pochi casi, fanno “tuffare” l’ascoltatore nel passato. Questo punto ci riconduce ad una riflessione: Gino, con questo cd, sembra abbia voluto riprendere, in parte, sezioni della sua carriera che potevano avere sviluppi differenti immettendo, così, auto-citazioni varie che ricordano molte cose ai fans del cantautore italiano; l’esempio massimo è dato da “Signora Provvidenza” in cui si accenna ad un gatto ( la passione di Gino per i gatti, nonché un riferimento all’immortale canzone “La Gatta” ) che è matto; deduzione semplice: l’album “Matto Come Un Gatto” vincente al Festivalbar del 1991 con il brano “Quattro Amici”. Infatti è possibile udire, lungo le altre tracce, dei riferimenti a quello stile reggae proprio del brano perno del disco prima enunciato. Ma se riascolta bene “Il Nome”, non si può non dire che il motivo ascendente all’inizio non ricordi la canzone “La Bella E La Bestia” presente nella raccolta “Senza contorno solo… per un’ora” del 1992, nonché canzone tema dell’omonimo film.
Nonostante, però, tutti questi grandi pregi il disco non può essere indirizzato a tutti, ma bensì soltanto a chi vuole ascoltare la vera musica d’autore, poiché è impossibile inserire tale album nel proprio lettore e fare in modo che sia un giusto sottofondo, soprattutto per il semplice fatto che le canzoni non sono facili e necessitano della giusta attenzione poiché, in molte, mancano del ritornello.

Gino Paoli è una leggenda vivente e di fronte a un disco del genere non possiamo fare altro che chiudere gli occhi e ascoltarlo diffondere il suo suono nell’aria.