Hot Head Show The Lemon LP, recensione.

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Il confine tra sperimentazione ed esagerazione è sempre molto labile. Nella musica ad esempio chi si definisce sperimentatore a volte sconfina in un campo indefinito che sembra solo voler fungere da specchio alla propria voglia di stupire e di non allinearsi. Insomma, a volte è meglio fare bene qualcosa di già sentito che innovare malamente. Certo, la sperimentazione fatta con criterio, con talento e con passione può spesso risultare in qualcosa di grandioso, o almeno di piacevole e fresco. Nel mondo musicale di oggi non avviene spesso. Bè, gli Hot Head Show sembrano essere sulla strada giusta.

Ma chi sono gli Hot Head Show? ad ascoltarli sembrerebbero un gruppo uscito da sonorità che riportano a cavallo tra anni 70 ed anni 80, in quell’ondata nuova (o se volete new wave) dipinta da affreschi post-punk, funk e ska. A questo aggiungete un tocco di esplosività rock, di creatività libera e di spirito psichedelico. Il risultato è questo trio inglese guidato, alla chitarra ed alla voce, da Jordan Bennett, pseudonimo di Jordan Copeland, figlio di Stewart dei Police. Insieme a lui Vaugh Stokes al basso e Beatamax alla batteria. Le loro maggiori esperienze live al momento provengono dal tour dei Primus, ai quale hanno fatto da supporto e pare che Les Claypool si sia completamente innamorato del sound del gruppo.

In effetti ascoltando “The Lemon LP”, se c’è un gruppo che a tratti si può associare agli Hot Head Show sono proprio i Primus. Un po’ per l’assenza di schemi nelle loro canzoni, un po’ per il basso spesso dominante, un po’ per l’attitudine caotica e schizzofrenica. Ma gli Hot Head Show hanno un loro stile ed è interessante andarlo a scoprire lungo le 11 brevi tracce di questo lavoro. “Bummer” apre con scatti di batteria e basso prima di entrare in un riff contagioso che si trascina fino ai versi quasi parlati con voce graffiante che ricorda lontanamente quella dei David Byrne dei Talking Heads. Il pezzo va in crescendo per il primo minuto fino a ritornare bruscamente all’inizio scattoso, condito poi però anche da fiati ed un incredibile effetto-rewind nel finale. Inizio emblematico che trova degno seguito nella spaziale “Payload”, arricchita da chitarre aggressive e cambi di ritmo, e nella frenetica “Chopstickabean”, dove il ritmo diventa velocissimo e sembra quasi far mancare il respiro. “Hotel Room” è un gran diversivo, si potrebbe definire un mix tra Tom Waits e proprio i primi Police, per il suo stile da canzone folk su ritmi che fondono reggae e rock. In “What Goes Round” il gruppo si avventura in territori ancor più difficili con ottimi risultati, immergendosi nel pieno del rock cosmico e sfiorando persino un free-jazz/prog alla Soft Machine. Un pezzo magnifico che testimonia più di tutti gli altri il talento e la creatività dei musicisti. Ma ci sono anche altri punti di forza nell’album che virano in direzioni diverse, come la divertente interpretazione di un pazzo pop in “Whiskey Pocket”, il classico avant-rock di “The Lemon” e “Ritalin” o la follia finale di “Donkey” che sembra voler condensare un po’ tutto, facendo della mancanza di schemi un’arte.

“The Lemon LP” è più che un esordio promettente. E’ quel tipo di lavoro che sprizza freschezza giovanile ma allo stesso tempo sembra venire da anni di concerti in piccoli locali fumosi e di prove in cantina. Porta alle nostre orecchie un sound nuovo ma che contemporaneamente ci riporta indietro nel tempo, in una dimensione però non ben specificata. E pur con tutti questi pregi, gli Hot Head Show sembrano un gruppo dal quale sembra più che lecito aspettarsi ulteriori salti di qualità e continui miglioramenti nei loro prossimi progetti. Intanto però godiamoci questo pazzo e piacevole debutto.