Il confine “Ctrl+Alt+Canc”, recensione

ctrl.jpg

Il concetto di confine mi ha sempre inquietato.

Il limite, valicabile o meno, lo ho da sempre associato ad un (rito) di passaggio, talvolta antropologico altre volte geografico o sociale. Un demarcazione di orizzonti diversificati che, a seconda dei luoghi e dei tempi, può essere vissuto in maniera rigida, mutante o soggettiva. Un viaggio che presume un superamento (oppure un blocco), in grado di variare una condizione pregressa.
Questa sorta di inganno aleatorio rivive nel logo della band pugliese, graficamente vicino ad intuizioni Tarm e all’arte visionaria di Stefania Pedretti. Un’arte surreale ed allegorica che si ritrova nell’ottima opera di cover art, in cui l’elegante digipack si offre come base all’estetica fotografica, in cui i colori cupi si affiancano alla scena (sur)reale, nera e poetica di un mondo rubato alla sua intimità.

Una sorta di blocco estetico che viene riportato alla dinamicità attraverso sette tracce, in cui il tentativo di fuga da spazi e tempi, si affianca alla modalità osservativa dell’uomo affetto da necessità ricercate; raccontate da passione musicale e accortezza estetica, fulcri essenziali della rock band.

A dare il via al disco è una curiosa atmosfera tiromanciniana, qui alimentata da distorsioni chitarristiche, atte ad amplificare le direzioni lineari della struttura, su cui danzano note graduali e delicate. Un’ottimale overture abile nel ricreare un’empatia emozionale verso l’apice di un climax terminale. Se poi con Il concetto di dose i ritmi rallentano in maniera perfettibile, con lo sdoppiamento vocale di Nello spazio e nel tempo i giochi eco riportano il tenore emotivo ad un livello superiore, appoggiandosi con naturalezza su di un arpeggio che porta alla mente alcuni passaggi della tradizione nordica. Un movimento acustico che sembra volersi unire ad una sensazione seventies, non solo per merito di tastiere ben calibrate, ma anche e soprattutto grazie alle emozioni che si susseguono ai bordi della traccia, di certo tra le più interessanti del disco. Tra forti emozione e cambi improvvisi si giunge tra le Ortiche e Loto il cui andamento tipicamente anni ’80, ospita il calore delle quattro corde, segnale evidente di una strada da esplorare.

A chiudere il disco sono l’heavy prog di Paradisi complicati e l’osservativa e filtrante Scie, interessante viaggio posto ai limiti di Sogni lucidi, rapida energia al servizio di un disco diretto ed aperto, in cui, a dire il vero, non esiste un preciso confine di genere, ma solo un naturale innesto tra incubi, ironia e cripto realismo.