Il rapporto con la tradizione, la sua musica.

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«I like people to go away from a Queen show feeling fully entertained, having had a good time. I think Queen songs are pure escapism, like going to see a good film ─ after that, they go away and say that was great, and go back to all their problems». 1

Quando, la notte del 24 novembre 1991, Freddie Mercury scomparve si ebbe la consapevolezza di quanto grave fosse la perdita per il mondo della musica di un talento vero come lo era l’istrionico cantante dei Queen.

La morte di Mercury ha dimostrato, a chi pensava il contrario, che la fama della band londinese non era dovuta solo al successo di alcune “hit da supermarket” (com’erano state malignamente etichettate alcune loro canzoni), ma era strettamente legata alla genialità compositiva del pianista Anglo-africano.

Ogni sua canzone era esaltante, sontuosa, epica, soprattutto mai banale. Rock, funk, pop, blues: non c’è genere che non abbia mai trattato durante la sua lunga carriera, eppure in molti lo vedevano solo come un eccentrico cantante “pop-dandy”.

La superficialità ha caratterizzato, purtroppo, la maggior parte dei giudizi di alcuni critici e contemporanei del genio di Zanzibar. Sarebbe bastato lasciarsi trasportare dalle note della eccentrica Bohemian Rhapsody 2 (1975) per capire con quanta tecnica e dedizione componeva Mercury e quanto profonda era l’influenza esercitata in lui da parte delle sue più ardite passioni: la vita mondana, il glamour, l’opera lirica, l’amore. Passioni, queste, che si rintracciano durante tutto l’arco della sua lunghissima carriera: dal modo di vestire durante i primi anni ’70, al nome della band al femminile (Queen in italiano significa Regina) che fece assai clamore; dalle sfarzose feste nei locali più “caldi” di Londra, alle mai noiose esibizioni dal vivo; dalle interpretazioni di brani già noti (la cover più famosa interpretata da Freddie è The great pretender 3 dei Platters), alla creazione di vere e proprie rock-Opera 4. Si pensi ad A Night at The Opera 5 (1975) ─ in realtà il titolo è la celebrazione dell’omonimo film dei fratelli Marx, bissato dall’album seguente A Day at the Races 6 (1976) ─ e al famosissimo Barcelona 7 (1988), primo e unico tentativo di fusione tra il rock puro e la lirica.

È stato leggendo una sua intervista, in cui citava il Flauto magico di Mozart, che ha iniziato a farsi strada nella mia testa l’idea sempre più chiara di una volontà ben precisa di Mercury di comporre un determinato tipo di musica a dispetto delle tante e volubili critiche che gli sono state mosse quando era ancora in vita.
Partendo proprio dalle sue dichiarazioni, e attraverso vari esempi, ho esaminato la carriera del cantante per trarre una conclusione tutt’altro che scontata: la scelta fatta per la creazione e l’arrangiamento di alcuni suoi brani è di chiaro stampo operistico.
Il mio discorso verte su tre punti fondamentali che possiamo definire “indizi visibili”:

  1. la costruzione di Bohemian Rhapsody;
  2. l’esplicito omaggio di Mercury a Leoncavallo nella sua It’s a hard life (del 1984);
  3. la collaborazione di Mercury con la soprano spagnola Montserrat Caballé.

Partendo da queste certezze, ho poi concentrato l’attenzione anche su altri indizi (che possiamo definire “invisibili”) che dimostrano quanto esplicita fosse la volontà di Freddie di ricreare nella propria musica quel qualcosa di magico e irrazionale rintracciabile soltanto nel mondo del melodramma. Indizi che persone molto più autorevoli di me hanno fin troppo facilmente snobbato.

LA SUA VITA PRIMA DEI QUEEN

Il piccolo Farrokh Bulsara nasce il cinque di settembre del 1946 nella solare isola di Zanzibar (Tanzania) nell’oceano indiano, dove vi trascorre l’infanzia. A soli otto anni si trasferisce in India (patria natale dei suoi genitori), che ai tempi era colonia inglese, per andare al St. Peter’s college di Mumbay. Era di religione Parsi: una specie di seguace di Zaratustra secondo cui la vita è gioia e va vissuta al massimo. Al college fonda il suo primo gruppo, gli Hectis in cui suona il piano, e canta nel coro della scuola.

Nel 1962 finiti gli studi torna nella città natale, ma due anni dopo scoppia la rivoluzione e la famiglia Bulsara è costretta ad emigrare in Inghilterra, precisamente a Feltham poco fuori Londra. Qui Freddie (il nome con cui piaceva farsi chiamare dagli amici) frequenta una scuola d’arte dove dipinge, disegna abiti e ritratti dei suoi idoli ─ Jimi Hendrix su tutti. Dopo un breve periodo come cantante solista sotto lo pseudonimo Larry Lurex, Freddie incontra Brian May e Roger Meddows-Taylor (che ai tempi suonavano negli Smile con Tim Staffel) e, dopo aver trovato il bassista (John Deacon), insieme fondano i Queen. Decide così di cambiare il proprio nome in Freddie Mercury e disegna egli stesso il logo della band unendo i loro segni zodiacali (immagine).

Finalmente il sogno del piccolo Farrokh era divenuto realtà.

Note

  1. [Mi piace che la gente vada via davvero soddisfatta da un concerto dei Queen, dopo essersi divertita. Penso che le canzoni dei Queen siano una semplice evasione, come andare a vedere un buon film ─ dopo di che, tutti possono andarsene e raccontare quanto è stato bello, per poi tornare ai loro problemi] Freddie Mercury, Interview, in «Melody Maker», May 2, 1981, cit. nel booklet del Dvd Queen + at the Freddie Mercury tribute, Parlophone 2002.
  2. [Rapsodia Boema].
  3. [Il grande simulatore].
  4. Termine che si rivela del tutto inadeguato se con opera-rock ci si riferisce tanto alla musica di Mercury quanto alle sperimentazioni dei primi anni ’70 (si pensi ai Pink Floyd o ai Led Zeppelin con la loro Stairway to Heaven) o ancor peggio alle molte creazioni di stampo metal del secondo novecento.
  5. [Una notte all’Opera].
  6. [Un giorno alle Corse].
  7. [Barcellona].