InSpiral “Habitat”, recensione

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Dopo qualche settimana torniamo tra le pieghe sonore della (R)esistito distribuzione per presentarvi Habitat, opera ultima degli Inspiral, band presentata in infosheet come in bilico tra l’alternative di stampo americano e l’elettronica/ambient.
Sin dal primo ascolto la band estense sembra muoversi partendo da sensazioni tardo-seventies, pronte ad abbracciare un alternative cervellotico dagli stilemi sperimentali. Un full lenght che si presenta vestito di una buona dose di alterigia e pretenziosità nel suo voler essere concept, riuscendo (con alterne fortune) a racchiudere le preziose fasi di pre-produzione.

Il tema portante del disco si specchia in una filmologia ampia, partita dalle tonalità mainstream di Mad Max, per poi arrivare a cromatismi caustici tipici degli ultimi anni; infatti questo Habitat ci racconta di un mondo ormai dominato dalla natura, in cui l’uomo è ormai in via di estinzione. Ma, nonostante i buoni presupposti l’approccio musicale, pur rimanendo piacevole e complesso, non riesce a completarsi rimanendo in un limbo esecutivo che anela ad un traguardo vicino, ma non ancora raggiunto. Specchio di questa condizione, a parer mio, è lo studio di cover art, in cui una buona idea di partenza non riesce ad emergere con le giuste sfumature e la necessaria armonia.

Però, a dispetto delle inevitabili sbavature, l’ascolto risulta comunque piacevolmente attrattivo, grazie ad un songwriting ben definito nella sua struttura post apocalittica. L’introduzione filmica ci invita ad elucubrare su note diluite e desertiche, che si associano ad un lirismo evocativo capace di pervade l’anima compositiva della band. L’intento sembra essere quello di introdurre l’ascoltatore attraverso un prologo introduttivo, grazie al quale il concept inizia a prendere forma.

La ricerca dell’emotività non sempre raggiunge l’obiettivo che si propone, mostrando una band a proprio agio sulle linee basse, ma in parziale difficoltà nel momento in cui si alzano i ritmi. Talvolta altalenante drum set ( Blink ) si contrappone all’uso ponderato della sei corde, riuscendo a convincere a pieno in brani come Hunt , il cui ritmo grezzo appare in grado di evidenziare una piacevole concettualità proto heavy, nel quale la sezione ritmica sorregge bene la linea delle strofe. Allo scheletro portante si aggiungono poi gli interessanti effetti tribal, fusi e confusi da una volontà elettronica, capace di accrescere il pathos al pari di Radio , attraversando la quale la nostra attenzione è rapita dalla triste consapevolezza della solitudine, aiutata da un pinkfloidiano disequilibrio atto ad aumentare la drammaticità narrativa.

Se poi con la complessa e divergente Epistula arriviamo a percepire un inatteso aspetto minimale, l’astante potrà nell’immediato tuffarsi in una curiosa decomposizione, scarnificata da una serie di suite legate al un sottile fil rouge iniziale che trova termine in Mother , in cui il dialogo tra pelli e riff definisce un calo di tensione improvvisa, complice una mancanza definita di post produzione, limite di un disco che incuriosisce e a tratti conquista.

Tracklist

1 – Blink
2 – Perfect Blue
3 – Hunt
4 – Radio
5 – Epistula
6 – Mother
7 – Habitat
8 – Primal
9 – Catharsis