Iron Maiden, le origini del mito Mick Wall

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Incipit

Ci sono alcuni libri che vorresti non finissero mai; libri di cui ti senti parte integrante, da cui non riesci a distaccarti e da cui non vuoi allontanarti. Le motivazioni possono essere svariate, ma di certo legate ad una soggettività emotiva che deflagra nel nostro io, volenti o nolenti. A questo tipo di sensazione si possono legare romanzi, racconti o saggi, poco importa, perché ciò che risveglia il nostro interesse non può essere etichettato. Ciò che incide è la particolare sensazione di non veder l’ora di tornare a casa per continuare a leggere da dove ci siamo interrotti.

Il lato buono della medaglia è certo quello di esserne coinvolti appieno, il lato negativo è quello di condannarsi ad un’impossibilità oggettiva. Pertanto non crediate che questa recensione di Iron Maiden, le origini del mito possa essere un articolo disincantato ed equanime.

Chi dei lettori si è imbattuto nella mia presentazione per Music on tnt, scritta ormai 10 anni addietro, ricorderà di come il mio ego musicale sia maturato proprio all’ombra di quell’Eddie in tonalità gialloblù del 1985. Avevo 11 anni e da allora sono stato catapultato nel mondo del metallo pesante, seguendo le genesi, le scomparse e le ricomparse di ogni genere legato all’HM; ho vissuto il grind, il gore, il death, il black ed ogni altra derivazione estremistica, ma mai ho dimenticato il gruppo grazie al quale ancora oggi litigo con la mia dolce metà, che ogni volta che può censura ( in favore della piccola bimba che popola casa) quel desktop popolato da Edward the head.

L’editore

Chi dobbiamo ringraziare per questo libro?

Tre persone: La vergine di Ferro, Mick Wall e la Edizioni BD, casa editrice relativamente giovane, il cui certificato di nascita è datato 2005. Nonostante i soli sei anni di vita, l’editore milanese ha già all’attivo oltre seicento volumi, molti dei quali incentrati sul mondo del fumetto. All’interno del catalogo a disposizione, spesso le cosiddette bande dessinèe riescono ad incontrare la musica come nel caso di Sex pistols: biografia a fumetti e Io & Freddy, oltre ai casi in cui i baloon lasciano spazio alla pura saggistica.

Proprio grazie alla neonata collaborazione con la BD oggi è possibile leggere questo articolo sulle pagine della nostra rivista…pertanto era doveroso riuscire a ritagliare un piccolo enclave di presentazione a discapito di una sintesi ormai persa sull’onda dell’entusiasmo iniziale.

Iron Maiden, le origini del mito

Il magnifico libro di Mick Wall riesce a raccontare in maniera esaustiva e coinvolgente la genesi di una delle più importanti band della storia rock, con un’esposizione che inizia e finisce laddove iniziano e finiscono i sogni e le ambizioni di un uomo: Steve Harris; un uomo capace di creare dal nulla una lotta contro il punk 77, contro il mainstream e contro ogni tipo di compromesso.

La storia ha inizio nella Londra azzurro-amaranto, tra il mercato del pesce di Billingsgate e lo Spaceward, che al principio li avrebbe voluti con i capelli più corti ed un sound limato.
Una narrazione che vive attraverso le talvolta divergenti testimonianze dei protagonisti (…tutti i protagonisti compresi Paul Day e Doug Sampson), pillole di vita vissuta, lunghi on the road, le debolezze del grande Paul Di anno e i primordiali rapporti con Judas Priest e Samson, dai quali peraltro la band prelevò in una seconda era la voce di Bruce Dickinson.

Le 330 pagine scorrono veloci come Run to the Hillse complesse come la ballata del vecchio marinaio, senza mai annoiare, incuriosendo i profani e allibendo i fan che, nonostante gli anni, scopriranno nuove testimonianze di quei protagonisti partiti in Green Goddess e atterrati con L’Ed force one.

Nel libro, sviluppato in maniera cronologica, si legge che i Maiden per molti sarebbero finiti con No prayer for dying ( anche se a mio avviso hanno terminato la loro corsa con il precedente 7th son of a 7thson), ma che in realtà ancora oggi alle soglie delle frontiere finali continuano a riempire stadi e palazzetti in tutto il mondo.

Forse il mio pensiero, negativizzato dagli ultimi dischi, è strettamente legato al fascino indiscutibile dei primi full lenght e all’incontrastata abilità artistica di Derek Riggs, oppure in parte dovuto all’imperante tecnicismo che talvolta Harris e soci hanno voluto inserire nelle partiture. Ma nonostante tutto niente e nessuno riuscirà mai a togliermi l’affetto musicale per quelle cinque persone che con sacrificio, impegno e fatica sono riuscite a trasformare il loro status da low class in qualcosa di immenso, grazie anche a Roderick Charles Smallwood, a cui la band deve molto del proprio successo.

Il libro estremamente godibile ha però qualche piccola falla; infatti, tralasciando la scelta del titolo italiano blandamente impropria, manca di alcune foto essenziali e soprattutto un capitolo dedicato all’epocale sostituzione di Dickinson con il troppo bistrattato Blaze Bayley… ma la domanda del perché Blaze sia citato in sole tre righe del libro dovremmo farla a Mick Wall, che chiude il suo libro con una verità pura: Steve Harris aveva un sogno e lo ha realizzato perché ci ha messo tutto se stesso. Per lui gli Iron Maiden erano e sono ancora oggi una questione di fede.