Jess Morgan e Danni Nicholls Live at “Cafè De Loge” 13 marzo 2016 – Ghent (Belgio)

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Arrivo con largo anticipo rispetto all’inizio del concerto al “Cafè De Loge”, al centro di Ghent (Belgio), per incontrare due cantautrici inglesi – stile country folk – dalle voci intriganti: Danni Nicholls (di Bedford) e Jess Morgan (di Norwich) che meriterebbero di essere conosciute maggiormente dal grande pubblico, non solo italiano. Con Danni avevo già avuto contatti l’anno scorso, per la recensione del suo disco “Mockingbird Lane”, pubblicata per un’altra rivista on line dedicata al genere, mentre di Jess Morgan avevo solo ascoltato qualche canzone sul web, rimanendone piacevolmente colpito.

Dopo una lunga chiacchierata con le artiste, la sala del Pub si riempie di una quarantina di persone piuttosto calme, ma che sembrano piuttosto abituate al rito, quasi intenditori direi.
Il primo set è di Jess Morgan che apre con un nuovo pezzo, voce chitarra ed armonica, non ancora pubblicato su nessuno dei sui 4 dischi (3 Lp ed un Ep) precedenti. Si capisce subito che la ragazza ha storie da raccontare, ma anche un ugola dorata e una dolcezza che, unite insieme, riescono a sciogliere gli avventori che la seguono incantati, nota dopo nota. Fra gli 8 pezzi proposti si distingue la malinconica “Modern world” (dall’album “Langa Langa” del 2014) dedicata verosimilmente ad un ragazzo con il quale qualcosa deve essere andata storta visto che nel ritornello ammette “ ‘cos see, me I’m an old soul I don’t think I belong in your modern world” e le rimangono solo i ricordi di una splendida estate fra le dune assolate delle spiagge California Sands (in Inghilterra).

Bellissima anche la più cullante “Down in flame”, prima della quale cerca di coinvolgere un po’ il pubblico chiedendogli con ironia di sforzarsi ad immaginare lo stesso scenario di “Private dancer”: locale scuro, fumoso e un clima di mistero. Il brano che più mi colpisce in assoluto, però, è l’ammaliante “Simple Mantra” (dall’EP “The Bournemouth”) i cui versi sono di una sensualità unica: “Cause I wanna stop and just do something simple, be kind to a man who is kind to me whose heart is warm and his boots are by my door and his hands on me could be all that i need”. Disarmante. C’è spazio anche per altri due brani: il primo dei quali eseguito insieme a Danni Nicholls, invitata dalla Morgan sul tappeto appositamente preparato per loro dagli organizzatori, nel quale le due dimostrano un palpabile affiatamento artistico, oltre a quello umano. L’ultimo “The mouse and bat blues”, richiesto da un amico, è invece una simpatica e semplice storiella in cui un topolino si innamora nientemeno che di un pipistrello.

Finito il set di Jess si apre quello della Nicholls il cui approccio risulta subito decisamente più energico e più americano rispetto a quello della collega, proprio come il suo ultimo disco. Danni presenta alcune delle più belle canzoni di “Mockingbird Lane” che, seppur spogliate della produzione elettrica originaria conservano una carica espressiva notevole, a cominciare dalla splendida “Long road home”, nel descrivere la quale racconta come spesso, esibendosi ovunque, ci si trovi lontano da casa e alla fine l’attenda sempre un lungo viaggio di ritorno. La scaletta alterna momenti più vivaci come nel caso di “Hey there sunshine” ad altri più tranquilli come quando mi dedica l’intensa e morbida “Leaving Tennesse”, che le avevo espressamente richiesto prima del concerto. Si tratta di un brano scritto in viaggio, come spesso le accade, più precisamente su un Megabus che da Nashville la portava ad Atlanta col cuore “un po’ in subbuglio”. Per smuovere un po’ le acque, dopo una morbida Dragons In The Distance (dal suo primo LP A Little Redemption, del 2013), che ammette essere la sua unica canzone d’amore, chiede agli avventori di cantare con lei il pezzo del ritornello che ripete il titolo dell’allegra e spensierata Where The Blue Train Goes e, con fatica, riesce nell’impresa di vincere la diffusa timidezza. Le ballate Beutifully broken e Back to Memphis (cantata col supporto della Morgan che la raggiunge sul piccolo stage) riportano il mood verso terreni più tranquilli, mentre il concerto e la serata si chiudono con A Little Redemption, intenso inno all’amore universale per il quale ha preso spunto da un poema intitolato “The World’s Greatest Need”.

Alle 23,00 da buon collezionista non mi resta che acquistare tutti i loro dischi – che possedevo solo in parte in formato digitale – con dedica, prima di riprendere la mia personale “long road home” per Bruxelles.

PS: Un consiglio spassionato a chi ha avuto la pazienza di seguire tutta la storia di questa serata, seguite dove possibile (sul web o sulle piattaforme streaming) queste due donzelle. Se ama il genere sono certo che non se ne pentirà.