Karma to burn “Arch Stanton”, recensione

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Dopo qualche anno di attesa, torna il caprone dagli occhi di fuoco, pronto a cavalcare su di un riuscito impatto sonoro granulare e rinnovato, al servizio del nuovissimo Arch Stanton, uno dei migliori dischi scritti dal duo Mecum-Devine. L’opera sesta Karma to Burn si presenta sotto la più classica egida dello stoner strumentale, avvolgente e tecnico nel suo apparire; infatti, il disco, arrivato a noi grazie all’attento lavoro della Hoodooh, si palesa tra groove ed originalità, in un inevitabile vortice di rimandi al mondo Kyuss.

I k2b, immersi in sonorità piacevolmente riconoscibili, decidono (ancora una volta) di non dare particolari riferimenti concettuali, decidendo la solita ed inusuale titolazione, mostrando la necessità di raccontare singoli episodi di un continuum narrativo ben più complesso. La numerazione delle tracce sembra infatti voler racchiudere le composizioni in una unica e lunga suite, i cui movimenti diversificati possano dare spazio alla fantasia dell’ascoltatore.

Il viaggio tra le note ha inizio con un vero e proprio rinculo, un fulmine criptostoner in cui la ridondanza del riffing avvolge nell’immediato l’ascoltatore, qui intento a seguire il cavalcante incipit sino ad incontrare riusciti cambi direzionali, in cui gli spazi e i silenzi tra le note assolvono un ruolo narrativo sul quale fantasticare, osservando l’ottimo lavoro di cover art. Dimostrazione di qualità tecnica del duo americano è senza dubbio la traccia Fifty -six, in cui rigurgiti del “Settimo figlio del settimo figlio” si uniscono a contorni distorti e stonerizzati, mossi all’inseguimento di un ipnotico andamento che, pur toccando i limiti inferiori di una certa tipologia heavy cervellotico, mostra i suoi canini su strutture fondamentalmente indurite.

Il disco, licenziato da Faba/Deepdive reecords, arriva poi a regalare una struttura narrativa di rara intensità, interposta tra visionarietà e concretezza, aggredendo attraverso riuscite composizioni come Fifty Three , antro musicale pronto a condurci verso classicismi di Fifty-four, grazie alla quale torniamo, agguerriti, in sella, pronti ad attraversare le derivazioni post grunge di Fifty -five e l’impulso indurito di Twenty -three, brano ripescato dal passato della band.

A chiudere il romanzo musicale dei Karma To Burn sono i movimenti alternative di Fifty -eight, le cui sfumature vintage si conducono verso Fifty nine, omaggio diretto al western d’autore, mediante il quale si evolve verso un’implosione terminale di suoni polverosi ed alternativi, qui al servizio di un disco privo di evidenti sbavature.