La Bella Epoque “Il mare di Dirac”, recensione

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Paul Dirac, annoverato tra i fondatori della fisica quantistica, nei suoi studi matematici ha ipotizzato un curioso e visionario modello teorico del vuoto, visto come un mare infinito di particelle di energia negativa. Un onirico e astratto dipinto esistenziale, probabilmente ricreato da un celato spirito post-romantico in cui (evitare di) perdersi. Un rifiuto esistenziale del vuoto presunto, creato da una “vita (talvolta) assurda”, in cui la Belle Epoque, promossa da Macramè Trame Comunicative, sembra voler vivere, ma al contempo rifuggire.

Il disco parte proprio da questi presupposti per inerpicarsi su di un’apertura piacevole ( Icaro)posta su di un pattern minimale, dettato dalla profondità del basso e un ritmico andamento alle pelli. Il brano gioca con un riuscito riff, pronto a lasciare spazio alla voce del frontman, marcatamente narrativo nelle arie flebilmente retrò, poste su echi e back voice eleganti nel loro vestito pseudo lo-fi. Il disco, infatti, raccogliere spezie di un passato lontano per veicolarle verso un’impostazione sonora a tratti eccessivamente studiata. L’alternanza di momenti indie e aperte sfumature pop si bilanciano in modo adeguato, attraverso livelli sonori in cui i volumi definiscono in maniera accorta la profondità di un suono che, rimanendo vincolata a strutture deliziosamente armoniche, si mette in gioco con i tipici stilemi dei tardi anni 2000. Una mescolanza arguta, posta tra facile impatto e ricerca sonora, che trova il suo impulso reale nelle brevità espressive del dittico Nuovo mondo e Fuori di me, piacevole crocevia tra chorus in Frusciante style e accordi battenti.

Le gocce perse tra le luci della cover art si posano poi sull’ottima Insidia, in grado di donare uno sguardo curioso alla cupezza osservativa, qui non troppo discosta da certe attitudini La Crus anni ’90, prima di implodere nei più classici canoni underground, perfettamente richiamati dall’incipit di Cracovia, (ahimè) mitigata dal narrato. A chiudere il mondo dei La Bella Epoque sono infine una titletrack perfettibile ed una chiusura che da sola merita un insistito ascolto. Con L’amore nei piedi, infatti, con i suoi cambi direzionali e i suoi spigoli espressivi ridefinisce i contorni di una band di buona prospettiva, in grado di esporsi verso sonorità liminari che solo a tratti cadono di tono.

Dunque, un disco in grado di racchiudere in sé sapori e cromatismi differenti, ricreando un habitat accogliente per un indie rock che non si accontenta di calcare i propri territori.