La musica nell’inconscio cinematografico

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Quando per la prima volta ascoltai le parole d’incipit de Il favoloso mondo di Amelie, mi ritrovai proiettato in ciò che con naturalezza la signorina Poulain confessava allo spettatore. Io, come lei, sono da sempre quello che, osservando un film, nota gli oggetti dello sfondo, gli insignificanti particolari e le note di accompagnamento ad una scena.

Per colpa o per merito del mio docente di filmologia, infatti, spesso e volentieri mi ritrovo a vivere un testo filmico in maniera bipolare, attraverso due canali paralleli: il classico storytelling e il meno considerato mondo delle epifanie iconografiche, ponendomi così tra emozionalità ed analisi. Un’analisi razionale, pronta a ricercare significati nascosti, allegorie o semplici impronte subliminali.

Martina Sanzi, laureata in musica e spettacolo, con il suo saggio La musica nell’inconscio cinematografico alimenta proprio quella ricerca, donando un significato alle emozioni che siamo soliti vivere osservando il grande schermo, raccontato oggi non solo da immagini e parole, ma anche attraverso la musica. Il libro, edito da DMG, racconta nella sua forma di tesi sperimentale un viaggio straordinario che, partendo dagli albori dei fratelli Lumière, attraversa il cinema muto e il ruolo del imbonitore, sino a giungere alla sonorizzazione delle opere filmiche, analizzando non solo il cambiamento epocale, ma anche il ruolo evolutivo ( ed evoluto) dello spettatore, definendo al contempo il significato conscio ed inconscio di ciò che oggi chiamiamo colonna sonora.

L’obiettivo di questo piacevole saggio sembra essere quello di studiare l’influenza delle note sulle immagini, approfondendo i meccanismi semantici e comunicativi ed affrontando con chiarezza il rapporto tra l’approccio iconografico e quello musicale. Così, ponendosi tra Paul Ekman e Alfred Hitchcock, l’autrice mostra un sentiero ben definito, in cui riesce ad andare ben oltre i due approcci analitici per antonomasia (brechtiano e e neo-freudiano), palesando così l’enorme potere evocativo della musica mediante uno sguardo che ci porta dalla triade fonologico-sintattico-semantico sino ad avvicinare le teorie di Philip Tagg, mostrando così i molteplici fattori in grado di stimolare la magia scientifica chiamata amigdala.

A complementare l’ottima prima parte del libro, l’autrice propone poi una serie di interviste a diversi compositori, le cui affermazioni vanno ad anticipare i risultati di un test sviluppato sul campo, attraverso il quale si va a dimostrare come la musica possa influenzare le interpretazioni e le sensazioni, comunicando allo spettatore messaggi talvolta inevitabilmente soggettivi e altre volte accuratamente oggettivi.