Lazarus – David Bowie / Original New York Cast

Cover Cd

Premessa:

Chiedo scusa in anticipo, ma questa recensione sarà un po’ più lunga del solito.
Lazarus rappresenta per me, e per molti fan di David Bowie, la chiusura di un cerchio.
L’8 gennaio di quest’anno ho raccontato per Music On Tnt, a mio modo, “Blackstar” che era stato appena pubblicato. Due giorni dopo, quella recensione di cui tra l’altro andavo particolarmente fiero, era quasi totalmente da cestinare. La triste e imprevista morte del cantante inglese, faceva finalmente luce sulle motivazioni profonde di tutta quell’oscurità, divenendo di fatto il codice cifrato – finalmente svelato – che permetteva di decodificare ognuno dei 7 pezzi dell’album, secondo gli occhi di un autore che stava per lasciarci. Lazarus, in particolare, diventava il brano principale di quella stella nera, insieme al suo video che rimarrà nella storia della musica come testamento dell’arista.
Oggi a distanza di 10 mesi, esce un doppio cd contenente le registrazioni, cominciate il giorno stesso della morte di David, delle canzoni del musical Lazarus interpretate dal cast e contenenti anche tre inediti postumi. Questi tre episodi sono stati registrati anche da Bowie, separatamente, nelle stesse session di Blackstar, ma esclusi dal master finale, proprio per essere svelati solo a distanza di tempo.

– – – – – –

Morire ma vivere, attraverso la propria musica, in eterno.

Questo verosimilmente il pensiero fisso che ha impegnato negli ultimi mesi il cuore e le residue risorse psicofisiche di David Bowie, prima di lasciare questa terra sulla quale sembrava essere caduto, come un alieno.
Non si tratta di una mia intuizione, ma di un’oggettiva riflessione che chiunque abbia seguito gli ultimi giorni del Thin White Duke, compresa la pubblicazione di “Blackstar”, è legittimato a fare. Per mesi, prima dell’uscita di quello che sarebbe stato il suo ultimo capolavoro discografico, aveva lavorato insieme al regista belga Ivo van Hove per riprendere e sviluppare, in chiave attuale, il personaggio di Thomas Newton, dal romanzo di Walter Tevis “The Man Who Fell To Earth” (che nel 1978 divenne un film, di cui Bowie fu il principale interprete).

Tutto il suo immenso catalogo è stato messo a disposizione di un musical teatrale e la selezione dei brani è poi caduta su una manciata di hit storiche (come ad esempio “Changes”, “Absloute Beginners”, “Life On Mars?” e l’immancabile “Heroes”), su pezzi comunque molto noti (The Man Who Sold The World), e infine su altri più recenti, ma meno conosciuti dal grande pubblico (“Valentine’s day”, “Love Is Lost”, “Dirty Boys” dal penultimo album The Next Day). Sul fronte delle voci, la scelta di Michael C. Hall (il poliziotto vendicatore della serie televisiva Dexter) come primo attore credo sia stata perfetta in quanto riesce, anche attraverso un timbro vocale molto vicino a quello del Duca Bianco (evidentissimo il parallelo in Where are we now?), ad emozionare il pubblico vivendo le canzoni non solo con la gola, ma soprattutto col cuore. E si sente, eccome. Ugualmente la voce femminile di Sophia Anne Caruso fa della delicatezza e della limpidezza la sua arma migliore, cantando fra le altre una versione di “Life on Mars?” da brividi.

Riguardo ai tre inediti di Bowie citati in premessa e presentati, come detto, in doppia versione, si tratta innanzitutto della triste ballata “No Plan”, dal suono quasi rassicurante.
Il rock nevrotico di “Killing A Little Time” ha un testo di un’angoscia sconcertante e di una ferocia mal dissimulata nei confronti di un destino ormai segnato che gli ruba il tempo (da segnalare un Donny McCaslin al sax, da cineteca).

“I’ve got a handful of songs to sing
To sting your soul
To fuck you over
This furious reign”

Infine “When I Met You” ha un mood assolutamente in linea con il resto dell’album dal quale è stata accantonata. Se mi chiedessero il motivo di tale esclusione direi che è il loro riferimento decisamente meno ermetico, nel testo, alla sua morte che si avvicinava. In altre parole, pur di non svelare troppo, ha preferito che uscissero dopo la sua scomparsa, insieme alla sua opera musicale intitolata non a caso “Lazarus”: l’uomo che tornò in vita dal proprio sepolcro.

Anche se lui non credeva nella resurrezione, nel senso cristiano del termine, certamente però considerava l’arte come mezzo potente per lasciare un segno indelebile nella storia. Tutta la sua vita lo testimonia, così come lo confermano tutte le sue canzoni, compreso questo straordinario ultimo disco. La sua musica non morirà mai, anche se lui in realtà ci mancherà per sempre.