Le urla tra gli alberi “Ep”, recensione

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Ok…ok, lo ammetto! Mi è bastato leggere il nome della band per convincermi a recensire questa piccola e limpida goccia musicale. Mi capita, mi è capitato e sempre mi capiterà. Talvolta sbaglio spinto dallo splendore estetico di una cover art, oppure da un accattivante titolo…ma questa volta no! Nessun inganno.

Dietro a Le urla tra gli alberi si nasconde un progetto (con)vincente che nulla vuole inventare, ma che sembra portare con se un’urgenza narrativa genuina, diretta e deliberatamente immatura. Un suono che anela al mondo post, ma che in realtà si radicalizza in maniera naturale su di un ottimo alternative rock.

L’Ep si apre con un delizioso (ma breve) incipit distorno che si addolcisce sulle linee melodiche di un Iride in cui si specchiano funzionali back voice, ideali nel rendere la voce di Gianluca Licata più efficace nei passaggi pseudo dark della sei corde, pronta ad abbandonarsi all’osservativa attrazione magnetica che pare volgere ad un alternative rock anni’90. Infatti, sin dal primo ascolto, nonostante una gradevole deformazione di intenzioni, l’impronta Verdena viene palesata già con l’ottimo pezzo d’overture. Un brano che (forse) meriterebbe un mixing più raffinato, ma che al contempo racconta la straordinaria verve di questa nuova band dedita ad un alt tipicamente italiano.
Nel piccolo e curato extended played non mancano poi sviluppi estetici diversificati, tanto da richiamare alcuni andamenti Afterhours con Danni sul precipizio, brano vivo, grezzo e battente, le cui poliedriche facce espressive definiscono una voluta accentuazione di una linea di basso avvolgente e divergente.

A chiudere i 13 di minti di viaggio è infine Coma, in cui la linea di cantato giunge alla sua più naturale espressività, tra urla scomposte, imprecisioni e ridimensionamenti emotivi. Un’impronta posta tra schizofrenia e mondo onirico, da cui scaturiscono i movimenti magici e avvolgenti della sei corde di Marco Vavassori.

Un mini disco che non ha particolari certezze, se non quella di dover essere ponte espressivo per un inevitabile e doveroso full lenght.

Io rimango in attesa.