Ludvig van Beethoven – recensione dei concerti per piano e orchestra 1 e 4.

La copertina del cd

Quest’anno il pianista cinese Lang Lang festeggia il ventennale del suo primo concerto pubblico, eseguito nel 1987 subito dopo aver vinto il primo premio in una competizione pianistica alla veneranda età di cinque anni!

Nato a Pechino nel 1982, il venticinquenne Lang Lang ha vinto una quantità di premi in manifestazioni pianistiche in tutto il mondo da far perdere il lume della ragione anche ai più forti; in pratica è ormai una star internazionale: sfogliare la lista dei suoi concerti, che toccano tre continenti nei sei mesi da giugno a dicembre del 2007, è un’esperienza di vita.

Come i migliori ginnasti si mettono a volare fra le parallele lasciando credere che, in fondo, chiunque potrebbe farlo senza troppa fatica, lui esegue brani vertiginosi come se fosse, bontà sua, la cosa più naturale del mondo. Nelle sue prime incisioni sceglie a bella posta brani difficili che risolve dissimulando ogni sforzo. Dà subito l’idea di essere un fenomeno, e viene accolto bene dalla critica, ma il tarlo del sospetto, il dubbio che si tratti in fondo solo di una specie di giocoliere della tastiera, abile con le dita ma privo di spessore, in fondo rimane. Poi dà (e registra) nel 2003 un concerto alla Carnegie Hall che lascia stupefatti per la liquidità del suono e per la qualità dell’interpretazione. Insomma dal 2003 è ufficialmente un fenomeno.
Però, c’è sempre, in fondo in fondo il solito tarlo: d’accordo, è un mostro della tastiera, in più è giovane e solo a guardare una sua fotografia ispira una simpatia istintiva, vederlo suonare poi, con quell’atteggiamento ad un tempo ispirato e scanzonato è qualcosa che strappa il sorriso; tutto assai lodevole, ma perché non ci fa sentire un bel Beethoven così ci togliamo tutti i dubbi?

Fatto! Adesso non ci sono più dubbi.

Questa incisione con l’Orchestre de Paris guidata dall’ottimo Christoph Eschenbach è la conferma di cui si aveva bisogno. Il primo concerto mi sembra il più riuscito, Lang Lang vi sa trovare accenti nuovi e gestire la dinamica del brano con una sapienza da grande pianista, e se è meno imperioso di Benedetti Michelangeli nell’attacco del primo movimento è probabilmente un effetto voluto perché nulla sembra casuale nelle sue mani. Nel Rondò-Allegro finale sembra d’essere a un concerto jazz, è impossibile non muoversi sull’onda della musica.
Il quarto concerto è un affresco sereno e pieno di vitalità, esattamente quello che ci si aspetta dopo aver udito il primo concerto: tutto è semplice e straordinario ad un tempo.

L’ascolto di questi due concerti lascia stupefatti, non c’è dubbio che ci si trovi di fronte ad una interpretazione di quelle importanti, ma ciò che più entusiasma è il fatto di trovarsi di fronte ad un qualcosa di estremamente vitale, sebbene indefinibile, insomma queste musiche scorrono con una forza, una gioia che, viene da dire, è targata ventunesimo secolo: ce ne sono altre è un fiume sotterraneo che per ora dà prova di sé con alcune splendide sorgenti come questa e come il Mozart di Rachel Podger e Gary Cooper, o il Bach di Victoria Mullova e Ottavio Dantone poi, nel tempo, il fiume emergerà e s’allargherà nella pianura.

Conclusione, per trovare qualcosa che davvero non va bisogna criticare la coraggiosa fantasia dei pantaloni che Lang Lang indossa nella fotografia di copertina, altrimenti non c’è davvero niente da dire. Se questo, come spero, è l’inizio di una nuova integrale che ben venga!