Magical mystery acoustic tour – Tribute to Sgt. Peppers lonely hearts club band.

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Di tributi ai Beatles è francamente strapieno il mondo. Fino a questo disco avrei pure sfiorato quasi un “non se ne può più”, io che sono banalmente tra i milioni e milioni di persone che li considerano IL gruppo pop, ma direi anche IL pop.

Come accade spesso anche in altri settori, i risultati più positivi nel voler raggiungere un obiettivo si hanno quando si riesce a stare in quel sottilissimo confine equilibrato tra l’apprendere dal passato ed il guardare avanti, tra voler scoprire e considerare quanto già scoperto. Quando ci si ritrova, come è facilissimo che accada, sbilanciati vero uno dei due estremi si ha a che fare, in musica, con lavori che riproducono in modo più o meno sterile qualcosa di già sentito o con sperimentazioni prive di direzione, vuote, inutili a chiunque non ne sia l’autore, che almeno se tutto va bene ci guadagna qualcosa.

Bene. Questo disco, pur con qualche limite che vedremo, ha un equilibrio. L’evento è raro e quindi sono ben felice di parlarne.

Siamo di fronte a Sgt. Peppers lonely hearts club band, pari pari, con la sequenza esatta dei brani. E’ lui, insomma. Ciò rende la cosa ulteriormente insidiosa, ché a divertirsi con una collezione di brani presi qua e là dal repertorio dei baronetti c’è già da rabbrividire ma almeno non si ha per le mani il capolavoro della musica pop. La riproposizione che i nostri ne fanno contiene molto rispetto, osa con cautela. Eppure non si vergogna di spaziare, di concedersi viaggi tra i generi, di affrontare momenti country, di sfiorare il bluegrass, di impostare atmosfere alla Art Garfunkel, di passare per il dixie o per il blues acustico, di fornire versioni appena laterali rispetto al mito, uscendo talvolta di pochissimo dal seminato. Per qualcuno sarà uno scostamento troppo minuto, ma tanto non si può esser tutti d’accordo.

Un punto importante è che ciascuno dei musicisti mette una sensibilità personale oltre che tecnica a servizio dei brani, col risultato che si avverte un desiderio appassionato di raggiungere tutti la meta ossequiosamente ma anche senza paura.

Uno stile pulito, ottenuto utilizzando praticamente quasi sempre un set acustico. Fanno eccezioni le connotazioni psichedeliche di un paio di momenti fondamentali del disco (che non nominiamo ma che bisognava effettare un po’, c’è poco da fare) e fa eccezione quello che forse è l’unico limite del disco, una spinta eccessiva degli effetti sulla voce, quasi sempre alterata (chorus, riverberi ed enfatizzazioni varie). La scelta, in alcuni casi peraltro molto azzeccata, è in generale però discutibile perché produce rispetto al soundscape tutto acustico una sotanziale e pesante distanza, difficile da colmare e compensare con la mente e traducibile alla fine con una certa fatica d’ascolto, che poteva esser tranquillamente risparmiata in senso assoluto ma soprattutto in relazione al valore del progetto, che è davvero interessante e sorprendente, specie se si considera -non mi stanco di ripeterlo, è imporante- che stiamo parlando di uno dei dischi più importanti della storia della musica.

Non posso che consigliarvi caldamente l’ascolto. Qui non si fa alcuna rivoluzione, ma rendere stimolante l’ennesima versione postuma dei Beatles è un’impresa non da molti.