Malena ” Inverno”, recensione

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È un insolito inverno quello che spira dal sud, come i venti inusuali promossi dalla Grace Orange, label che ha deciso di accogliere nel proprio roster Francesca Vassallo, in arte Malena. Una voce nuova, che arriva dalla Campania, accompagnata da un ammirevole coraggio di ardire, appoggiandosi al diploma al conservatorio di Cantelli di Novara, improntando il proprio debut album sulla cosiddetta arte pop-lirica.

Malena si spinge verso l’intento di portare il disco nei pressi di un incrocio tanto bizzarro quanto originale, partendo da quella Carmen di Bizet, valicando i suoi Fiori di Bach e concretizzando il suo ego artistico in questo full lenght d’esordio. Tutto ciò sembra essere stato possibile grazie all’incontro con Luca Montaldo, che dopo averla assoldata, la concede all’aurea musicale di Paolo Agosta. L’artista si è infatti prodigato nella produzione esecutiva ed artistica di un disco, che tra alti e bassi, propone un fitto racconto in nove tracce, ricche di colori sfumati e consumati dalle emozioni. Un disco che tra inediti e cover non sempre ben a fuoco, riesce a consacrare solo parzialmente il tecnicismo vocale di Malena.

Il cammino inizia attraverso le soffuse luci del risveglio ambient introduttivo, in cui il pianoforte bacia le percussioni, atte a delimitare un dilatato territorio in cui la voce, con i suoi inusuali vocalizzi, funge da strumento aggiuntivo. Sin dalle prime battute ci si rende conto della direzione che il disco ha intenzione di percorrere; dalle note fuoriescono sentori e sviluppi Air che sembrano usciti dalle Vergini suicide, per una sorta di drammaturgia sonora posizionata su di un fill rouge che attraversa cambi direzionali, troppo uguali a se stessi. Le partiture interessanti non sembrano però riuscire a risolvere al meglio i freddi dell’Inverno, che ci portano in pochi passi all’ascolto chiaro e ben demarcato de Il mondo è , le cui note in battere eludono i clichè dell’electro rock, tra iper riflessività e pensosa melanconia. Il disco offre poi alti momenti posati, come la dolcezza elucubrata di Il sole (Estate) e il semisonico ritmo di Mi lasci sola, che sembra nascondere il sapore tanninico del Negramaro. Tra le migliori tracce annoveriamo poi Nell’immenso (primavera) , traccia che grazie ad un ottimo lavoro di batteria approda a lande convincenti, a differenza delle tre cover tutt’altro che efficaci. Infatti se Di sole e d’azzurro non toglie né aggiunge nulla ad un brano già di per sé insipido, il jazz con poco nerbo di Summertime si unisce alla coverizzazione dell’Ave Maria, che appare solamente una vetrina per l’esposizione mediatica di una bella voce, che solo a tratti riesce nell’intento di trasmettere reali emozioni.

Un disco in cui al timbrica precisa ed elegante regala un indubbio favore acustico, lasciando però sul sentiero incertezze sulla reale spendibilità del disco, che sembra osare troppo.

TRACKLIST

1. Inverno
2. Il mondo è
3. Di sole D’azzurro
4. Il sole
5. Summertime
6. Qualcosa che non c’è
7. Ave Maria