Mapuche “Autopsia”, recensione

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Mapuche, nom de plum di Enrico Lanza, torna a far parlare di sé con il suo secondo full lenght, carico di scarno dolore osservativo, surrealismo e ponderatezza. Un nuovo sentiero che l’artista ha deciso di intraprendere lasciandosi alle spalle la spensieratezza de L’uomo Nudo, giungendo ad un’arte compositiva matura, eclettica e per certi versi elitaria.

Autopsia rappresenta un itinerario inatteso, su cui l’autore si sofferma a reiterare espressioni allegoriche, in grado di fornire all’attentivo ascolto un piano di lettura poliedrico, alimentato da un’anima lo-fi, pronta a striare i bordi di una scomoda armonia. Il disco, sostenuto da tradizioni cantautorali poste tra Lolli e Gaetano, sembra volersi orientare verso venature indie, tutt’altro che forzate, ma al contrario pronte a ricamare reminiscenze di mondi westeranti e teatralità espressiva.

La leggerezza oramai appartiene al passato e il focus selettivo, raccogliendo briciole rumoristiche e per certi versi dilaniate, si presenta al suo fruitore mediante la miglior veste, anche grazie agli interventi stilistici di Carlo Natoli e alla produzione artistica di Alessandro Fiori. Proprio quest’ultimo appare essere il reale valore aggiunto, non solo grazie al supporto sonoro, ma anche e soprattutto per merito di un’architettura armonica attorno alla quale tutto gira.

Un minimalismo cantautorale che pondera le parole accorte, atte a donare uno sguardo infinto ad una realtà interpretata (male) nell’overture di Soltanto il peggio e (perfettamente) in Scegli me, la cui anima Bughiana riporta ironia e sarcasmo surreale, ponendo al centro del percorso espositivo la geniale figura di Andy Luotto, solennemente idolatrato anche nell’Inlay del digipack . Un gioco divertente e divertito, che con al sua anima lo-fi emerge dall’ascolto attento e sorpreso, proprio come accade tra i limiti dell’intonazione di Il chiodo, traccia visionaria, allegorica, aspra, inalterata e metodica.
Se poi Bassifondi pare portarci agli inizi degli anni ‘70, tra Rino Gaetano e la metodologia funzionale, è con il blando rumorismo di La responsabilità civile che i sampler sembrano nutrirsi di intensa teatralità, attraverso una meta trama che trova conforto nella straordinari stralci narrativi di Secondo discorso, nero e cinico atto anticipatorio delle surreali sensazioni folk indie di Son finito nel tuo armadio.

A chiudere il folle palcoscenico sono i criteri gucciniani di Mr.Sophistication, avveduta metafora del successo, e i cromatismi delineati dalle tenue pennellate sonore della titletrack, che dona un finale al di sopra delle righe attese.

Un disco diretto e privo di fronzoli, in grado di raccontare (con una addomesticata arte visionaria) un mondo popolato da metafore e disarmonie.