Media Res – Media Res

copertina del disco Media Res dei Media Res

Il jazz ha sangue meticcio. Dalle sue origini afroamericane esso ha esplorato a suo modo tutti i generi musicali, dal funky al pop, dal blues alla musica popolare e tradizionale proveniente dal mondo intero. E pur espandendosi incessantemente non appare mai sazio, cercando sempre nuovi sentieri da percorrere e nuove armonie con le quali incrociarsi. Raramente mi sono trovato però di fronte a un progetto che si muove contemporaneamente in più direzioni, come questo primo lavoro di Media Res.

Il disco è prodotto dall’etichetta Jazzing Roma, nata nell’ambito della tradizionale rassegna estiva di jazz che si tiene oramai da molti anni nella capitale a Villa Celimnontana, e che ha prodotto anche lavori del sassofonista Massimo Urbani e del trombettista Aldo Bassi

Media Res è un sestetto di jazzisti romani, guidato dal sassofonista e flautista Gianni Savelli, che è anche compositore di tutti i brani del disco. Accanto a lui Aldo Bassi alla tromba e flicorno, Stefano Lestini al piano, Francesco Pugliisi al contrabbasso, Marco Rovinelli alla batteria e Sergio Quarta alle percussioni.

Le loro collaborazioni in campo jazzistico nazionale e internazionale lasciano intravedere le ragioni della ricchezza di contaminazioni che traspare dalla loro musica. Yusef Lateef, Lester Bowie, Ray Mantilla, Don Cherry, Toots Thielemans, Lazaro Ros e Horacio “El Negro” Hernandez, solo per fare alcuni nomi con provenienze culturali lontane.

Media Res è il loro primo disco, uscito dopo anni di prove e concerti dal vivo, nel quale eccheggia un percorso di ricerca che attesta la loro curiosità nell’ascoltare suoni, strutture e linguaggi musicali stranieri. Al disco partecipano inoltre Sidiki Taskayali all’oud e al saz (Barish), un quartetto di archi e una sezione di flauti e clarinetti.

La struttura portante sembra essere costituita da una sezione ritmica forte e caratterizzante, da una struttura melodica che si radica nel cool e nel jazz modale e si espande verso l’America Latina, l’Africa, l’Asia, il Medio Oriente e i confini dell’Europa, e da una cura quasi maniacale degli arrangiamenti. Chissà, forse un peso minore degli arrangiamenti e delle parti scritte, soprattutto in alcuni brani, avrebbe lasciato volare la loro musica un po’ più in alto e avrebbe consentito agli ottimi componenti del gruppo di esplorare più a fondo certe sonorità. Per adesso posso dire che la struttura dei pezzi aiuta certamente la loro lettura.

Alcuni brani mi hanno colpito. Dance you can dance, il pezzo con cui si apre il disco, parte rarefatto, in dolce crescendo, fino ad esplodere in un corale bandistico che ricorda le melodie e le atmosfere medio-orientali delle orchestre di otteni armene. Jeli è un pezzo ricorsivo ispirato al Wassoulou, quella regione del Mali in cui la musica dei pastori Peul si fonde con le antiche tradizioni degli imperi mandengue. In Gujurat, un brano ispirato, siamo con un piede nel jazz è l’altro al confine tra l’India e il Pakistan. Tutti i brani sono certamente godibili e hanno il pregio di creare paesaggi ampi e dettagliati.

Auguri a Gianni Savelli e ai Media Res. Suonare Jazz in Italia non è facile, e molti ottimi musicisti, alla fine, rinunciano, anche se non soffrono di complesso di inferiorità nei confronti dei colleghi di oltre oceano. Negli ultimi anni il jazz italiano sembra godere di una certa attenzione anche oltre confine, e la via imboccata dai Media Res sembra condurre a terre fertili, a sonorità moderne e raffinate. Credo che se i Mediares continueranno il loro cammino qualcuno si accorgerà di loro, e magari scoprirà che hanno qualcosa da dire.