Melampus “n°7”, recensione

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Anche se, per un artista, il vero salto nel buio avviene alla pubblicazione della terza opera (almeno così si è soliti pensare), ero sinceramente incuriosito di capire come la scia di Ode road avrebbe potuto influire sulla creatività dei Melampus.
Da oggi la mia curiosità si può dire soddisfatta.

24 gennaio 2014; ecco la data di uscita della seconda fatica di Francesca Pizzo e Angelo Casarrubia, ancora una volta promosso dalla Unomondo per Locomotiv Records, in sinergia artistica con Riff Records. Il nuovo platter sembra voler ripartire proprio da dove si era interrotto il debut, raccogliendo i frammenti di austerità ed oscurità espressiva, in questo caso rivolta verso la magicità del numero 7, che per molti rappresenta l’animo atto a muovere l’introspezione e la riflessività. Infatti, proprio come accade in numerologia, il cui numero influenzatore rappresenta una necessaria analisi minimale dei dettagli, anche questo nuovo album definisce l’occorrenza di racchiude in sé la fisiologica esigenza di un ascolto attentivo.

Proprio il lato visionario ed etereo delle partiture appaiono legati alla visione di una ricerca continua, definita da un‘inquietudine basilare e da una sentita urgenza di indagare sul nostro esistere. La narrazione di queste nove tracce appaiono sin da subito come un sentiero ostico, da percorrere in maniera accorta e riflessiva, al servizio di un dipinto in scala di grig,i ricreato attorno a onde nuove ed art rock. Infatti questo nuovo n°7 arriva con facilità a racchiudere allegorie espressive tanto intense quando paranoiche, il cui sguardo ci riporta a costrutti di nero intenso non troppo slegati dalla sfera Bauhaus.

Tutto ha inizio con la solitaria aurea minimale di Warwhouse, definita attraverso un ridondante riff, sul quale si appoggia la voce distaccata della narrazione, tra sensazioni desertiche e una sorta di lunga e cadenzata cavalcata osservativa, alla quale si aggiungono funzionali aspetti legati al filtraggio sonoro. Da qui si segna la via straniante di While we float, non troppo lontana dal mondo sonoro di Burzum (scusate l’ardito parallelismo) e l’andamento marziale di Hungry people, il cui mood avvolgente gioca con minimali toni rumoristico-elettronici, senza però mai definire se stessi come tali.

La voce ammaliante di Francesca, che a tratti sembra ricordare quella di Nico, ci invita tra i profondi battiti della perfetta 7 stones e l’animo nereggiante di Guardians, che (forse) avrebbe meritato un incipit maggiormente diluito per riuscire a restituire l’emozione sonora regalata da piccole perle come Gad, atto anticipatorio dell’anticlimax terminale, in cui, grazie a Waltz for Nina il viaggio sembra posarsi sulle speranze di un’illusoria e rasserenante apertura emozionale.

Un disco di certo intenso ed espressivo, in grado di avvolgere un ascoltatore attento e disposto a viaggiare tra i fotogrammi sensibili di un film ricco di sfumature oscure.

1. Warehouse
2. 7 Stones
3. While We Float
4. Hungry People
5. Rob
6. Guardians
7. GAD
8. The Gun
9. Waltz for Nina