Miles Davis – Kind of Blue

Kind Of Blue

C’è un gustoso aneddoto che ho letto da qualche parte su Miles Davis, e che mi piace ricordare, tanto per mettere in evidenza quale fosse il cinismo, l’ironia ed il sense of humor del personaggio, ma anche quanto fosse perfettamente consapevole (e ci mancherebbe!) del proprio genio e dei capitoli che aveva scritto nel libro della Storia della Musica.
Una sera si trovava seduto tra gli ospiti di un qualche MTv Award o Grammy o chessoio, con una procace biondina al fianco. Insomma la bionda teenager chiese al nero signore vestito in modo stravagante chi fosse, e cosa avesse fatto per trovarsi lì. Il signor Davis rispose con la sua voce fumosa che nella sua vita aveva cambiato il corso della storia della musica almeno cinque volte.

Kind of Blue è sicuramente UNA di quelle cinque volte.
Nel 1958 Miles Davis aveva costituito un sestetto di talenti assoluti, che attraverso album quali Porgy and Bess, Milestones e, appunto, Kind of Blue, aveva completamente rivoluzionato sia il modo di improvvisare, che di “porsi” di fronte al pubblico. Classe assoluta.

“Cannonball” Adderley al sax alto e John Coltrane al sax tenore, Paul Chambers al contrabbasso, Bill Evans al Piano, Jimmy Cobb alla batteria. forniscono una risposta magistrale ad ogni richiesta del maestro di cerimonia. La leggenda narra (ma oramai è un dato di fatto) che Miles Davis entrò nello studio di registrazione con delle semplici linee melodiche su cui poi i musicisti avrebbero dovuto improvvisare. Insomma aveva fornito degli schemi armonici ridotti all’osso, poche note scritte su un pentagramma e, probabilmente, pochi discorsi. Registrarono quello che, probabilmente, è il primo esempio di improvvisazione modale. I pezzi sono, secondo la leggenda, tutti “first takes”.

La qualità del suono è ottima, ampio, dettagliato, si distinguono perfettamente le “voci” dei sax di Adderley e di Coltrane, che parlano tra loro, il primo con sonorità più terrene, il secondo che vola in alto nelle sue sheets of sound.
L’album si apre con la celeberrima So What, arpeggi scambiati tra piano e contrabbasso, che sembrano introdurre ad atmosfere eteree, per trasformarsi quasi immediatamente in un riff di contrabbasso meravigliosamente coinvolgente, semplicissimo nei suoi cromatismi, efficace quando i fiati entrano a sottolineare le sue note finali. Il pezzo si evolve con improvvisazioni e sonorità blues, un groove coinvolgente che sembra lasciar scorrere i nove minuti abbondanti del pezzo in un fiato.

Freddy Freeloader comincia subito con due note che richiamano senza fraintendimenti le ultime due del riff di contrabbasso, un richiamo che non può che essere voluto, che evolve il blues di So What verso un jazz più consono (rispetto ai canoni dell’epoca, s’intende), ma evoluto per piccoli combo, non per le grandi orchestre.
E’ la volta di Blue in Green, un pezzo magico, poetico e sognante, in cui, a mio parere, tutto si adagia sul pianoforte, che riesce a reggere le improvvisazioni dei suoi compagni con poche note, pochi accordi, poche dissonanze. La semplicità è la chiave di lettura del brano.

All Blues è, appunto, un blues in tempo dispari che comincia con un lavoro percussivo del pianista, l’armonia retta su bicordi di Coltrane e Adderley, e la tromba sordinata di Davis che ondeggia sul tutto. Poi, interrotta la linea melodica iniziale, quando cominciano i giri di improvvisazione, il piano abbandona il suo andamento ritmico, sostituendo i fiati con i suoi accordi, e per contro il drumming di Cobb perde di linearità, riempendo maggiormente la musica di controtempi e colori.
Ascoltando questo brano in particolare, ed i dialoghi tra i vari strumenti, sembra impossibile che il tutto sia stato improvvisato su musiche mai sentite o lette prima di quel giorno. L’affiatamento dei musicisti, affinato in un anno, raggiunge davvero punte impressionanti, e davvero a volte sembra che la musica sia scritta dalla prima all’ultima nota.

L’album si conclude con Flamenco Sketches, che è forse il mio brano preferito. E’ ancora una volta il dualismo tra piano e contrabbasso ad introdurre in maniera magistrale l’ascoltatore alla melodia della tromba, stillando poche, fondamentali note, Evans indugia su accordi non apertissimi, in modo da lasciare maggior spazio al lirismo di Davis. Caratteristica di questo pezzo è il continuo rincorrersi di tonalità maggiori e minori, l’atmosfera cambia in continuazione, passando da sequenze di battute rilassate e sognanti, ad altre più introverse e struggenti.

In particolare, proprio in uno di questi cambi di tonalità (poco prima dei tre minuti), Coltrane indugia troppo in un accordo minore, nel senso che questo doveva risolversi in una tonalità maggiore, per lasciare poi spazio ad Adderley, ma egli prolunga una nota (volutamente) spiazzando gli altri musicisti (un po’ si sente) ed anche l’ascoltatore. Toglie il fiato, come quando si risale dall’acqua, e si cerca di respirare prima di aver raggiunto la superficie.

Cinque brani (sei nella ristampa in CD, con una seconda versione di Flamenco Sketches) che hanno segnato la storia della musica, un album che racchiude in sé due caratteristiche che i più ritengono inconciliabili, ovvero la facile fruibilità della musica contenuta, ed il germe dell’innovazione, che ha segnato, con l’inizio dell’improvvisazione modale, molti musicisti e molto jazz a venire e soprattutto, almeno nel particolare approccio improvvisativo, che porterà al free che proprio Coltrane contribuirà a far nascere nel decennio successivo.