Monkey onecanobey “Moco”, recensione

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Un grido contro la generazione del lavoro che incrimina i giovani del proprio mondo monotono quando l’educazione non è stata delle migliori.

Scimmia. Può Ubbidire.

Se avessi visto questo disco su di una bancarella o in un negozio specializzato, senza saper nulla dei Monkey Onecanobey…lo avrei comprato. Si! Comprato a scatola chiusa, perché il packaging e la cover art meritano un ampio credito. Il lavoro di Filippo Paparelli, chiaramente ispirato alla filmografia fantascientifica di fine anni 70, oltreché ad una citazionistica strutturazione in stile Marvel, riesce a raccontare sin dalla sua veste un mondo parallelo, che pone al centro del progetto minimalismo ed originalità.

Il duo spoletino infatti si presenta al mondo discografico con un rock-beat box inusuale dove la chitarra di Saverio Baiocco offre lo spazio necessario a Filippo Lombardelli, in grado di narrare suoni con un piacevole beatboxing riportato alle soglie del nuovo millennio. infatti il giovane “rumorista” riesce, senza particolari fronzoli, a ridefinire i canoni dell’atteso, mediante otto tracce penalizzate da un perfettibile songwriting, reale anello debole di un disco godibile persino nella scelta ardita e (forse banale) di coverizzare Personal Jesus.

Il disco parte con gli attesi rimandi anni 90 di Evolution Playstation, metaforico antro espressivo di un mood di certo non annoverabile tra i migliori episodi… che si non fanno certo attendente come dimostrano l’ottima Pilled Lungs e la convincente Grinning in your face. Proprio in quest’ultimo episodio sonoro la voce del frontman sembra volersi rifare alla potente pulizia di Ian Gillian, portandoci a percorrere Route 66, composizione dal retrogusto blues, in cui le note strappate portano il dote un avvolgente calore dell’oltreoceano. La composizione, ricca di reiterazioni e cambi direzionali va a definire una sorta di dualità, che rispecchia la struttura stessa della band, proprio come accade in I know,in cui la parte armonica e lineare va a contrapporsi a bridge strumentali granulari e distorti.

L’album offre una serie di aspetti divergenti e distinti punti osservativi, palesi in Traintears, figlia dell’alt folk nordamericano, ideale per rivivere la pacatezza espressiva dell’alternatività, qui racchiusa tra beat box e back voice che modificano il mood iniziale. La canzone mostra con la sua immediatezza preziose sfumature che pongono la partitura tra i migliori passaggi del disco. Un giusto sentiero che prosegue con il beat box di Lose your mind, in cui la distorsione chitarristica e la voce seventies vanno a creare l’habitat perfetto su cui costruire la somma chiusura data da rimandi Kiss e da un rock and blues deja ecu.

Tracklist
1. Evolution PlayStation
2. Philled Lungs
3. Grinning in your face
4. Route66
5. I know
6. Traintears
7. Lose your mind
8. Personal Jesus