Phaze I “Uprising”, recensione

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Difficile etichettare i Phaze I. I cambi ritmici, le evoluzioni sonore e le straripanti idee emozionali, sembrano non permettere un analisi focale sul trio francese, abile a celare ogni fulcro espositivo in grado di fornire un necessario orientamento.

L’oscuro futuro raccontato dalla band, si chiude all’interno di sensazioni poliedriche idonee a raccogliere strutture black, synphonic, thrash, nu e progressive, in una corsa narrata da un songwriting di rilievo. Il disco, infatti, nasconde tra le proprie note un oscuro concept, che racconta di una horroristico assoggettamento dell’uomo ad una nuova razza, violenta e disumana, racchiusa tra le sfumature epico-sinfoniche ed una plumbea e malata atmosfera, che funge da trait d’union all’intero disco.

Uprising arriva a noi attraverso le fauci della Worm Hole Death, mediante idee ben filtrate, che trovano finalmente luce dopo gli otto anni di attesa. Il disco parte con il giusto piglio grazie all’impronta nu metal di The essence of humanity, in cui stilemi evocativi di black sinfonico allineano tracciati neri, modificati da una linea vocale scomposta ed urlante, mentre il lavoro alle pelli, pur gestendo buoni cambi direzionali, pare inizialmente perfettibile con i suoi rimandi al mainstream (Marylin Manson, Soil e Dimmu Borgir). L’incipit, a mio avviso troppo diluito, trova maturazione fisiologica in Double-headed beast che, tra echi e desertiche diluizioni, si innesta alla perfezione nel continuum narrativo. Il suo andamento, che diventa marziale nella seconda parte, restituisce un aurea filmica e per certi versi nereggiante, pronta ad ergersi manifestando una schizofrenica e convincente traccia.

La vocalità, abile nel contemplare spazi thrash-hardcore, innalza l’emozione mediante le aperture armoniche di Underword lust, pronte a virare sulla focalizzazione del proprio ego metalcore inizio ’90. Intuizioni fagocitate da un vortice che, (fortunatamente,) risucchia l’ascoltatore verso un’emozionalità più grezza e diretta delle stemperate sonorità mansoniane, che vanno a mescolarsi ad un intimismo inatteso. Infatti, il ponte espressivo di Our Affiction, perla reale del full lenght, genera un ciclotimico andamento pronto ad evolvere, con le sue strutture deja ecù, nell’urlante No God.

Le fitte trame delle liriche arrivano infine a definire, con sapienza, alcuni passaggi disturbanti (8000 miles) che migrano verso lidi fantascientifici, pronti a morire tra il drum set di Putrified souls ed i lineamenti aspri e spigolosi di Troops uprising che, con i suoi vocalizzi ed i sui reprise, mostra i margini di un disco intenso e trainante, target ideale delle nuove generazioni di metalkids.