Polar for the masses “#unagiornatadimerda”, recensione

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Rabbia, punk, rock ed ironia.

Conoscendo i P4TM da ormai molti anni, per una volta ho accettato di recensire un disco a scatola chiusa. Non ho neppure ascoltato l’anteprima, perché sapevo ciò che avrei ascoltato. Anche se il rischio di trovarci di fronte ad un effetto Riot Act esiste sempre, non ho avuto dubbi; infatti ancora una volta la band di Simone Pass, Davide Dalla Pria e Alessandro Lupatin non sembra aver tradito le attese.

Le fondamenta di questa quinta fatica sono da ritrovare non molto lontano da qui, ed esattamente tra le pieghe di Italico, spartiacque espressivo del sentiero artistico partito sotto l’egida della Black Nutria.

Ancora una volta l’album si offre ai suoi ascoltatori in maniera accorta e trainante, nonostante un poco felice lavoro di art work, significativamente meno efficace rispetto alle ottime cover art degli ultimi due album. Ma, non soffermarci alle apparenze, questo nuovo disco si presenta come immediato e energico sin dall’iniziale climax d’incipit, in cui non appare un’aumentativa emozione graduale, ma bensì un’inattesa percossa, grazie alla quale si arriva ad osservare le note dal punto più alto del groove avvolgente. L’impatto sonoro, impregnato e persistenze, sembra voler offrire un’indefinita linea di cantato, avvolgente , scomposta e (a tratti) bipolare, alimentata da un eccellente impronta sui ritmi bassi. L’ evoluzione interessante dell’iniziale Il meccanismo ci porta verso un curioso falso finale pronto ad istericizzarsi, arrivando a concretizzare sensazioni coraggiose al limite di un blando rumorismo spigoloso.

Il mondo del Polar for the masses giunge poi a definire i propri contorni mediante tracce ben calibrate, proprio come lo stretto tecnicismo allucinato di Dentro il progresso e la sensazione underground di Non hai tempo , sino a giungere alla straordinarietà monocorde di La provincia , in cui battiti musicali, inquieti e pseudo industrial, definiscono il pattern per la linea mono-tono del tracciato, disposto tra accenni riverberanti ed echi strutturali, funzionali alla partitura stranita.

Maggiormente diretta appare invece la strada percorsa dai Cervelli in fuga , fortunato rimando stilistico al battente mondo Afterhours. Un interessante episodio che sembra basarsi su strutture punk rock, aspre e taglienti, pronte a cambiare pelle con la titletrack, definita attorno a cambi di ritmo piuttosto disarmonici. Da qui si riparte nella sua linea spezzettata, specificandosi come atto anticipatorio dei sentori surf di Stronzi, granulare e impostato punk rock, impreziosito da strappate in levare, abili nel rimembrare il mondo Ramones e nel definite gli orizzonti di una band mai banale.