Quintorigo “Experience”, recensione

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Nel 2008 i Quintorigo avevano dedicato un intero album al contrabbassista Charles Mingus, spinti dall’anima jazz che hanno sempre dimostrato di possedere. Oggi, dopo poco meno di cinque anni, tornano alle stampe con un progetto similare, definito Experience, in cui offrono il loro personale sguardo su di uno dei maggiori chitarristi di sempre…un tal Jimi Hendrix.

Quattordici canzoni che vedono coinvolte tre magiche voci: il blues singer Eric Mingus, figlio d’arte, Moris Pradella e Vincenzo Vasi. Un trittico fatato che rende questo disco assolutamente d’elite. Un’opera convincente sin dal primo ascolto, anche grazie al coraggio di rivedere brani storici senza avere la paura di osare.
Dunque…nessun vilipendio a Mr. James Marshall Hendrix, qui spogliato della sua follia interpretativa. Infatti, con i Quintorigo, l’artista di Seattle rivive in forma edulcorata, tra archi e fiati, decisi nel loro incedere e pronti a scolpire un disco che anche chi non ama le coverizzazioni apprezzerà appieno.

Il ritmo del disco, palesemente e tradizionalmente quintorighiano, si apre con l’introduttiva Foxy Lady, la cui struttura sonora sembra uscire dai primi dischi della band romagnola, complice una convincente vocalità nera e blues, ben assestata in un interessante apporto “quasi” rumoristico, pronto ad evolvere sulla linea base di un brano graffiante e corrosivo.

Mentre la profondità vocale si mescola poi con il groove di Fire, più assomigliante alla versione dei Peppers che non all’originale del 1967, l’ottimo dialogo tra gli archi si alterna ad un sax talvolta invasivo che, nonostante tutto, arriva ad anticipare con leggerezza la fantastica versione di Hey joe, seconda per bellezza solo alla straordinaria versione dei Body Count. La melanconia narrativa che Jimi aveva pensato per questa traccia, a dispetto di qualche eccessivo vocalismo, viene raccontata con abilità, attraverso un pathos narrativo che si migliora con Angel. In quest’ultima la linea di cantato si avvicina al mondo del Mike Patton di Album of the year, per il suo approccio emozionale, poi disturbato nella partitura di Spanish Castle magic, attraverso un curioso approccio free, delimitato nei suoi bridge.

Non mancano poi omaggi espliciti alla Fender Stratocaster, spesso sostituita dall’espressività degli archi, tra aperture jazz (Purple Haze) e surrealismo sonoro (Third stone from the sun) a cui si accodano andamenti vitali e classic blues, le cui radici emergono in maniera chiara e dichiarata in tracciati come Red House, cuspide espressiva di un disco da vivere tra arie gipsy e gli stimoli agè di Up from the skies.

TRACKLIST:

“Foxy lady”
“Fire”
“Hey Joe”
“Angel”
“Spanish castle magic”
“The Star Spangled banner”
“Purple haze”
“Third stone from the sun”
“Voodoo intro”
“Voodoo child”
“Manic depression”
“Red house”
“Gypsy eyes”
“Up from the skies”